Il tunnel della speranza

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1 Il tunnel della speranza

2 Ogni riferimento a fatti realmente accaduti o luoghi e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.

3 Anna Lucia Legrottaglie IL TUNNEL DELLA SPERANZA Autobiografia

4 Copyright 2015 Anna Lucia Legrottaglie Tutti i diritti riservati

5 A mia madre e a chi mi ama

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7 La vita va rincorsa, anche con affanno La speranza può uccidere, ma è l unico battello che ogni naufrago afferra Gli scossoni sono tanti, il sole si alterna alle nuvole gonfie e candide Nulla è semplice, nulla che possa dare quella bizzarra euforia della felicità, costruita da momenti che nella vita ci daranno forza Aggrapperemo la fune e nessuna fiamma la brucerà, perché noi, ogni naufrago, la terremo con tutte le nostre forze.

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9 Prefazione Sono qui, dopo mille e mille ripensamenti, titubanze, perplessità, che mi cimento in un umile scrittura che possa descrivere gli infiniti attimi che han composto la mia vita o, più precisamente, quella che io ho sempre definito sopravvivenza. Per lungo tempo la mia mente, la mia memoria, si sono rifiutate di rimembrare il tutto, forse per difesa contro una sofferenza protratta per innumerevoli anni, per paura che potesse riaffiorare prepotentemente, distruggendo l equilibrio che con fatica ora sono riuscita a costruire attorno a me e al mio cuore. Ma riflettendo, parlando con la gente, interrogando me stessa, sono giunta alla conclusione che raccontando di me otterrei una cosa fondamentale: incoraggiare chi soffre, fisicamente e moralmente, far credere che i sogni non sono tutti irrealizzabili, che la vita è comunque bella e va vissuta appieno. 9

10 Può apparire una banale frase fatta ma, credetemi, potrete darmene atto quando, molto pazientemente, entrerete in simbiosi con tutto ciò che leggerete e solo alla fine, se avrò colpito i vostri cuori, avrò anche comunicato il mio messaggio. 10

11 1 Mi chiamo Anna Lucia Legrottaglie, sono nata il 17 marzo 1978 a Fasano in provincia di Brindisi, nella bellissima Puglia, dopo una difficile gravidanza di mia madre. Il cammino, lungo e tortuoso, cominciò quel venerdì pomeriggio o probabilmente ancor prima, ma non ne ho le facoltà di rammentare. Almeno i ricordi dello stato embrionale ci vengono risparmiati. Ero una bimba di kg 4,300, rotondetta e sembrerebbe di sostanza, ma in realtà gonfia di liquidi per via delle flebo fatte a mia madre che ormai non si alimentava quasi più naturalmente. Il parto fu traumatico e doloroso, ma ancor più doloroso fu aver dato alla luce una creatura e non averla avuta subito tra le braccia, così come tutte le mamme normalmente hanno la gioia di poter fare. Mi portarono via. Appena uno sguardo fugace di mia madre, stremata, verso me avvolta in un indumento bianco. Lei che chiedeva come stesse la 11

12 sua bambina e loro, le infermiere, che in fretta e furia le dicevano che era tutto ok, che stavo bene. Fui subito portata nel reparto pediatrico, dove per qualche giorno tanti medici si presero cura di me, probabilmente giorni interminabili. Restai lì, ancorata in una culla, senza poter sentire l abbraccio di chi mi aveva messa al mondo. Lei, priva di forze, con un trauma post-parto al bacino, quasi inerme, ma estremamente vogliosa di vedermi. La forza di volontà fu più prepotente di quella fisica, e finalmente, mia madre, facendosi aiutare da mio padre, cercò di alzarsi da quel letto che la teneva lontana da me. Mio padre le afferrò le gambe portandole all esterno del letto, l aiutò a mettersi in piedi e pian piano giunsero nel reparto dove c ero io. Non ero una bimba sana. Il mio corpo era completamente ricoperto da ustioni di terzo grado (così apparivano a primo impatto). Furono innumerevoli le domande ed altrettante le mezze risposte. Perché era accaduto? Cosa era accaduto? Per la prima volta però scoprivo l abbraccio di mia madre. La riconobbi a tal punto che quando lei mi sussurrò Ora non ti lascio più!, feci un profondo sospiro, mettendole la mia gracile manina sul petto. Credo che in quel preciso istante abbia capito che non sarei più stata sola. 12