MATERIALI PER RICOSTRUZIONE DEL TESSUTO OSSEO

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1 LAUREA MAGISTRALE IN INGEGNERIA BIOMEDICA TESINA IN MECCANICA DEI TESSUTI BIOLOGICI (MTB) MATERIALI PER RICOSTRUZIONE DEL TESSUTO OSSEO Presentato da: A. Avvisato F. Baldacci M. Fesani A. Maroncelli

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3 INTRODUZIONE... 1 Classificazione dei biomateriali in base al tempo di riassorbimento... 3 Classificazione dei biomateriali in base all origine... 3 INNESTO OSSEO AUTOLOGO... 3 Tipi di innesti ossei... 4 Limiti dell innesto autologo... 6 INNESTO OSSEO OMOLOGO... 6 Matrice ossea demineralizzata (DBM)... 7 Osso mineralizzato congelato (Freeze Bone Allograft - FBA)... 7 Osso mineralizzato congelato a secco (Freeze-Dried Bone Allograft - FDBA)... 7 Osso demineralizzato congelato a secco (Demineralized-Freeze-Dried Bone Allograft - DFDBA)... 8 INNESTO OSSEO ETEROLOGO... 9 Osso di origine bovina... 9 Osso di origine porcina Osso di origine equina INNESTO OSSEO SINTETICO O ALLOPLASTICO Materiali sintetici metallici Materiali sintetici ceramici Materiali sintetici polimerici CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA... 30

4 INTRODUZIONE Nell ambito della ricostruzione ossea, sono stati analizzati e proposti una grande varietà di biomateriali. L impalcatura fornita da tali materiali (scaffold) facilita la ricostruzione di tessuti danneggiati restituendone la perduta anatomia e funzione.[1] Gli scaffold per l ingegneria tissutale dell osso sono strutture altamente sofisticate studiate per favorire inizialmente l attacco, l adesione e la distensione cellulare (spreading), ed in seguito la deposizione di nuovo tessuto osseo, che nel tempo possa rimpiazzare l impianto artificiale.[2] I biomateriali devono quindi fornire un supporto biomeccanico alle cellule protagoniste del processo di formazione e rigenerazione, e fungere da guida provvisoria tridimensionale. Fig.1 Scaffold realizzato con l uso combinato di materiali ceramici e polimerici.[3] Inizialmente per la realizzazione di innesti ossei, si utilizzavano materiali biologicamente inerti per minimizzare la risposta immunitaria dell organismo ospite. Negli ultimi trent anni questo paradigma si è spostato da materiale bioinerte a bioattivo.[2] In particolare, un materiale bioattivo ideale come sostituto osseo, oltre a possedere requisiti basilari, deve presentare tre differenti tipi di proprietà biologiche: osteogenesi, osteoinduzione e osteoconduzione. - Osteogenesi: capacità di neogenesi ossea dell innesto, indipendente dal sito donatore. Essa ha luogo quando viene promossa la formazione e la crescita di nuovo tessuto da parte di osteoblasti e loro precursori presenti nel sito di rigenerazione. Cellule con attività osteogenica provengono dalla zona intra-corticale (20%), dal periostio (30%), dall endostio e dal midollo osseo (50%). Al contrario, le cellule della linea emopoietica, ovvero le cellule staminali che danno origine a tutte le cellule del sangue, non sembrano avere alcuna funzione osteogenica. - Osteoinduzione: capacità di un tessuto di indurre la differenziazione di cellule mesenchimali indifferenziate e pluripotenti (ossia cellule che possono generare solo tessuti connettivali e non altri tessuti di diversa derivazione embrionale, come neuroni od epiteli) provenienti dal sito ricevente o da quelli circostanti, in elementi osteogenici (osteoblasti), determinando così la neogenesi ossea a livello sia dell innesto che del sito ricevente. L osso trapiantato è in grado di indurre questa differenziazione grazie alla presenza di cellule dell innesto sopravvissute all insufficiente rifornimento di ossigeno (danno anossico); inoltre la differenziazione è possibile anche grazie alla liberazione, da parte dell innesto stesso, di biomolecole, quali ad esempio le cosiddette Bone Morphogenetic Proteins (BMPs), proteine che partecipano al metabolismo osseo. - Osteoconduzione: capacità dell innesto di creare un supporto strutturale alla neoformazione ossea. Essa ha luogo quando un materiale da innesto forma un reticolo tridimensionale, che 1

5 funge da impalcatura per guidare la crescita degli osteoblasti e dei loro precursori dalle pareti del difetto (effetto scaffold). Si tratta di un processo di rivascolarizzazione e di invasione dell innesto, da parte di cellule progenitrici provenienti dal tessuto ricevente, dapprima in periferia e poi con penetrazione all interno dell innesto, meglio nota come creeping substitution.[4] Nell ambiente fisiologico, pertanto, la presenza dell impianto e la sua degradazione devono indurre e mantenere condizioni che influenzino positivamente la sopravvivenza, la proliferazione cellulare e la deposizione della matrice extracellulare.[2] Lo scopo di uno scaffold è quindi quello di supportare e possibilmente aumentare la formazione di tessuto osseo attraverso diversi meccanismi: in particolare, grazie all adsorbimento delle proteine sulla superficie del materiale da innesto, si verificano una serie di avvenimenti a cascata (adesione e differenziazione delle cellule come osteoblasti (OBL) e osteoclasti (OCL)), che hanno come risultato la deposizione di nuovo tessuto osseo e la degradazione del biomateriale. Tali processi, dipendenti sia dal tempo che dai materiali utilizzati, devono avvenire contemporaneamente per permettere un risultato adeguato. Diventa quindi fondamentale la scelta del biomateriale da utilizzare per la realizzazione dell impalcatura 3D; nello specifico, le caratteristiche ideali di un materiale utilizzato per la riparazione di tessuto osseo sono: - Biocompatibilità: ottima integrazione del materiale nel sito ospite, con assenza di reazione di tipo immunologico (reazione da corpo estraneo); - Porosità: l impalcatura del biomateriale deve presentare dei pori aperti interconnessi tra loro con un ampia superficie in grado di permettere la penetrazione dei vasi sanguigni, la crescita cellulare e la formazione del tessuto osseo; le dimensioni accettabili dei pori variano tra i 100 e i 400 µm. La presenza di micropori permette inoltre la diffusione del materiale nutritivo e la rimozione dei prodotti del metabolismo, relativi all attività cellulare.[1] E infine importante che la porosità del materiale sia elevata e uniformemente distribuita. Tuttavia, è da considerare che la presenza di pori ed interconnessioni incide significativamente sull integrità meccanica della struttura. Per questo motivo è necessario un compromesso fra la porosità e la sua funzione biologica.[2] Fig.2 Porosità e interconnessione dei pori in un biomateriale disegnato al computer. - Proprietà di superficie: di tipo chimico e topografico, influenzano l adesione cellulare e la proliferazione; quanto maggiore è la rugosità della superficie, tanto maggiore sarà la ritenzione di fibrina e cellule osteogeniche; - Proprietà meccaniche: per garantire e mantenere lo spazio sufficiente alla rigenerazione (effetto tenda, ossia isolare un tessuto osseo dal tessuto connettivo, per far sì che gli osteoblasti possano colonizzare quella particolare zona del tessuto) e il giusto equilibrio dei carichi tra l innesto e l ospite in base al grado di guarigione; 2

6 - Biodegradabilità: turnover sovrapponibile a quello dell apposizione ossea e il totale riassorbimento finale; - Bioattività: capacità di stimolare la produzione di osso attraverso l osteogenesi, l osteoconduzione e l osteoinduzione; - Accelerazione dei processi fisiologici di guarigione: con effetto di prevenzione delle reazioni infiammatorie e infettive e di rispetto della fisiologia ossea; - Effetto osteoconduttivo-osteoinduttivo; - Esigenze di tipo clinico: radio-opacità e sterilità. Nella scelta del biomateriale e nel design della struttura dello scaffold deve essere anche valutata la natura del difetto scheletrico, che può interessare sia l osso spugnoso che quello corticale. La diversità di esigenza della porzione ossea da sostituire è determinata dal tipo di forze meccaniche cui è sottoposta. E infatti a livello macroscopico che le proprietà strutturali determinano le risposte meccaniche, quali elasticità e resistenza alla compressione, tipiche dell osso corticale, o capacità di sostenere e trasmettere forze di carico, proprie di quello trabecolare. In particolare in uno scaffold tridimensionale, per combinare efficaci proprietà fisiche nella micro- e nella macro-struttura, è necessaria la presenza di un elevata porosità interna.[2] Ad oggi il biomateriale ideale non esiste, poiché pochi dei numerosi materiali presenti sul mercato sono dotati di tutte le caratteristiche sopra elencate. [1][4] Classificazione dei biomateriali in base al tempo di riassorbimento È possibile classificare i biomateriali utilizzati per l innesto osseo in base al proprio processo di riassorbimento. Una volta inserito il biomateriale, infatti, si ha un graduale riassorbimento con una sostituzione da parte del tessuto osseo neoformato. Tali processi (riassorbimento e sostituzione) possono avvenire nell arco di alcuni mesi (materiali riassorbibili), nello spazio di molti anni (materiali non riassorbibili), oppure avvenire parzialmente (materiali parzialmente riassorbibili).[1] Classificazione dei biomateriali in base all origine Esiste una classificazione dei materiali per la ricostruzione del tessuto osseo anche in base all origine: - Origine biologica: autologhi, omologhi (allograft) (DBM, FBA, FDBA, DFDBA), eterologhi. - Origine sintetica (alloplastic graft): lega in NiTi, lega in Mg, idrossiapatite (HA), biovetri (bioglass), acido polilattico (PLA), acido poliglicolico (PGA), policaprolattone (PCL) e acido polilattico-co-glicolico (PLGA). INNESTO OSSEO AUTOLOGO L osso autologo, prelevato cioè dallo stesso individuo ricevente, è considerato il gold standard per quanto riguarda i materiali da innesto. Esso gode di proprietà osteogeniche elevate grazie alla presenza della porzione midollare, che è ricca di fattori di crescita e di cellule staminali totipotenti (cioè in grado di dividersi e produrre tutte le cellule differenziate in un organismo, compresi i tessuti extraembrionali), ed è caratterizzato da eccellenti capacità osteoinduttive e osteoconduttive. Per quanto concerne le proprietà osteogenetiche, esse provengono dalle cellule precorritrici osteogeniche e dagli osteoblasti presenti nell innesto. Nell osso autologo, l isto-incompatibilità che determina la degenerazione cellulare non presenta un problema, in quanto l osso è prelevato 3

7 direttamente dallo stesso individuo ricevente. Tuttavia, è presente una variabilità inter individuale del potenziale osteogenico che, assieme ai fattori genetici e all età del donatore, rappresentano un importante indice di variabilità. Le proprietà osteogenetiche inoltre possono essere compromesse dalle tecniche di preparazione dell innesto osseo che possono provocare, nel caso di complicazioni, osteonecrosi, ossia la morte del tessuto osseo. Le proprietà osteoinduttive dipendono dai fattori di crescita. Tali proteine, che sono in grado di stimolare la proliferazione e il differenziamento cellulare, sono tipicamente molecole segnale atte alla comunicazione tra cellule nell organismo, e la loro funzione principale è il controllo esterno del ciclo cellulare. Inoltre regolano anche la sopravvivenza, la migrazione e il differenziamento delle cellule ossee. Ad esempio la proteina morfogenetica dell osso BMP stimola il differenziamento degli osteoblasti. Infine le proprietà osteoconduttive, che determinano la velocità di osteointegrazione, dipendono dalla struttura tridimensionale del graft. Questo è ben osservabile quando si confronta l osteointegrazione tra gli innesti corticali compatti e gli innesti spugnosi altamente porosi; nel primo caso, trattandosi di osso ad alta densità, la rivascolarizzazione avviene in circa due mesi e il suo riassorbimento impiega tempi più lunghi. L osso spugnoso, essendo invece più poroso, viene rivascolarizzato in poche settimane e pertanto riassorbito in un tempo più breve. L alta osteoconduttività dell osso autologo fa si che quest ultimo, una volta innestato, sia istologicamente circondato da osso neoformato (Fig.3). In molte aree è possibile osservare la presenza di osso corticale maturo visibilmente differente dall osso neoformato sia per struttura e tipo di maturazione che per affinità ai coloranti.[1][4] Fig.3 Osso autologo. Osso neoformato a stretto contatto con la particella di osso autologo. Blu di toluidina e fucsina acida 200x.[1] Tipi di innesti ossei I vari tipi di innesti ossei autologhi hanno varie proprietà associate all anatomia strutturale. Di seguito descriviamo le principali tipologie di graft ossei. - Innesto osseo spugnoso: la struttura trabecolare dell osso spugnoso si presenta come una grande superficie. Questa configurazione fa sì che questo innesto osseo presenti eccellenti capacità osteogeniche e osteoinduttive, e permette a un grande numero di componenti cellulari (cellule staminali, osteoblasti maturi e immaturi) di essere incorporati al suo interno. Inoltre, la struttura trabecolare consente una facile rivascolarizzazione e un rapido inserimento all interno del sito ospite. Tuttavia uno dei limiti dell osso spugnoso è la mancanza di resistenza meccanica iniziale (ossia nella prima fase della rigenerazione). La 4

8 formazione del nuovo osso su una struttura ossea necrotica, inoltre, indebolisce la struttura entro le prime settimane dall impianto. Grazie all ottima capacità biologica dell innesto osseo spugnoso, viene raggiunta una maggiore stabilità in pochi mesi dopo che il graft è stato incorporato. La vascolarizzazione dell innesto osseo spugnoso inizia entro 2 giorni dopo l impianto ed è accompagnata dall infiltrazione negli spazi midollari di cellule staminali mesenchimali. La fase iniziale dell osteointegrazione con la rivascolarizzazione è seguita dal rimodellamento dell innesto attraverso la formazione di osso attivo e, dopo 4 settimane, dal riassorbimento dell osso necrotico. - Innesto osseo corticale non vascolarizzato: gli innesti ossei corticali hanno un profilo biologico più limitato rispetto agli innesti ossei spugnosi (Tab.1). L osso corticale ha infatti meno osteoblasti e osteociti, meno fattori di crescita e una minore superficie per unità di peso, e la sua struttura costituisce un ostacolo alla ricrescita vascolare e al rimodellamento. Le differenze tra l integrazione dell innesto corticale e di quello spugnoso sono di fatto evidenti durante la fase di rivascolarizzazione e rimodellamento dell innesto. Per l osso corticale, questi processi sono più lunghi: la rivascolarizzazione dura circa 2 mesi a causa della struttura del graft corticale, la quale non consente una vasta area di contatto per la penetrazione vascolare tra l innesto e l ospite. A differenza dei graft spugnosi, in cui l incorporazione inizia con la formazione del nuovo osso, negli innesti corticali non vascolarizzati, gli osteoclasti devono prima di tutto avviare il riassorbimento delle cortecce più dense del graft per permettere la rivascolarizzazione. Pertanto questi innesti forniscono un immediato supporto strutturale, ma, entro le prime 6 settimane dopo il trapianto, diventano più deboli a causa del riassorbimento e dell assenza di vascolarizzazione. Tuttavia, presenta una migliore stabilità e resistenza meccanica iniziale che garantiscono una migliore fissazione ossea. L attività degli osteoclasti, che comprende il riassorbimento delle cortecce più dense e la perdita dell osso, inizia 2 settimane dopo la procedura di innesto. Questo si traduce in una debolezza transitoria che porta ad una riduzione rilevante della resistenza meccanica. - Innesto osseo corticale vascolarizzato: gli innesti ossei corticali vascolarizzati hanno caratteristiche biologiche più favorevoli rispetto agli innesti corticali non vascolarizzati standard. Inoltre, hanno proprietà meccaniche più elevate durante i primi 6 12 mesi dopo l impianto. Nonostante i loro numerosi vantaggi biologici, la principale limitazione è che sono tecnicamente più complicati da ricavare. Gli innesti corticali vascolarizzati rimarginano velocemente a livello del collegamento graft-ospite in quanto il processo di rimodellamento assomiglia molto a quello delle ossa normali. La formazione del nuovo osso tra l innesto e l ospite può portare ad una rapida integrazione del graft e ad una minima debolezza residua della struttura.[5][6] Tab.1 Proprietà dei differenti tipi di innesti di osso autologo.[5] Nell innesto autologo, le tipologie di tessuto più frequentemente conservate, oltre alle epifisi femorali, sono: segmento di costola, piccole diafisi di femore-tibia-perone, cunei, condili, stecche, emidiafisi, teche craniche, midollo osseo e cresta iliaca. In particolare quest ultima è la sede donatrice più in uso tra i chirurghi ortopedici, plastici e maxillo-facciali in quanto il sito di prelievo svolge un ruolo marginale nel sostegno del carico e il prelievo da tale zona è relativamente 5

9 semplice. Inoltre la cresta iliaca presenta la capacità osteoinduttiva date le minime quantità di BMP nell osso spongioso (questi fattori di crescita sono contenuti prevalentemente nell osso corticale). Negli innesti tradizionali le cellule osteogeniche che sopravvivono al trapianto sono circa il 10%, mentre nel trapianto vascolarizzato microchirurgico circa l 80%-90%. Un altra fonte di materiale autologo è il midollo osseo, prelevato mediante aspirazione dalla cresta iliaca posteriore; l iniezione di midollo favorisce la guarigione per gli effetti osteogenici delle cellule mesenchimali osteoblastiche ed osteoinduttivi delle citochine e dei fattori di crescita. Per evitare la dispersione del midollo nel sito di lesione ossea, è conveniente combinarlo con un carrier, come l osso, la matrice demineralizzata o sostituti. Per favorire l osteogenesi e l attecchimento di un innesto, è possibile utilizzare fattori di crescita derivati dalle piastrine autologhe attivate (gel di piastrine): l efficacia del gel piastrinico è tutt ora in fase di verifica. Fig.4 Cresta iliaca. Esiste la possibilità di conservare, in attesa di impianto sul donatore proprietario, materiale osseo autologo nelle Banche dell osso, nel caso in cui l ortopedico richiedente ipotizzi un nuovo intervento a distanza di tempo, oppure a seguito di un evento traumatico. Questo tessuto, se non utilizzato, al raggiungimento della data di scadenza viene eliminato, ed esso non viene in nessun caso impiegato su un ricevente che non sia il donatore stesso.[7][8][9] Limiti dell innesto autologo L innesto di osso autologo è però gravato da tre limiti principali: non è indicato per lesioni ossee di grandi dimensioni perché la quantità di materiale disponibile è limitata; comporta la necessità di intervenire su due siti chirurgici con un conseguente aumento delle complicazioni post-chirurgiche (infezioni e dolore); infine è richiesto un costo supplementare relativo al prelievo osseo e all allungamento della degenza ospedaliera. In virtù di tali considerazioni, l utilizzo di questo tipo di innesto è limitato.[4] INNESTO OSSEO OMOLOGO L osso omologo, proveniente cioè da individui della stessa specie del ricevente, viene prelevato da cadaveri entro 24 ore dal decesso oppure da teste di femore asportate durante gli interventi di protesi d anca, e conservato, dopo adeguato trattamento, nelle banche dell osso.[4][10] Essi possiedono caratteristiche, osteoconduttive e permettono la realizzazione di impalcature per la crescita di nuovo tessuto osseo. Contrariamente agli innesti autologo, a causa dell assenza delle cellule viventi, hanno tempi di rivascolarizzazione superiori. I principali vantaggi dell innesto osseo omologo sono l immediata disponibilità in varie forme e dimensioni, la possibilità di non sacrificare le strutture ospiti e l assenza di eventuali malattie del sito donatore. [1] 6

10 Matrice ossea demineralizzata (DBM) Un innesto osseo allogenico spesso utilizzato è la matrice ossea demineralizzata (DBM), che ha mostrato avere potenziali proprietà osteoconduttive e osteoinduttive. La DBM non fornisce alcuna resistenza strutturale, a causa dell assenza di minerale osseo, ed è per questo principalmente utilizzato in un ambiente strutturalmente stabile. La DBM, inoltre, rivascolarizza molto velocemente ed è utilizzato come materiale sostitutivo per il midollo osseo autologo. Essa non determina nessuna reazione immunogenica da corpo estraneo. La demineralizzazione di questa matrice rende possibile l attività biologica della stessa attraverso la presenza di proteine e fattori di crescita presenti nella matrice extracellulare (ECM). La capacità osteoinduttiva della DBM può essere influenzata dai metodi di conservazione, di trattamento e di sterilizzazione adottati e può variare da donatore a donatore. La DBM è utilizzata con successo per indurre la formazione ossea in varie condizioni cliniche, per riempire i difetti causati da cisti ossee e cavità, per la ricostruzione cranio-maxillofacciale, per la riparazione di fratture e difetti. La matrice ossea demineralizzata ha il potenziale svantaggio di essere vettore di malattie infettive.[11] La DBM è disponibile in varie forme come chip, gel, stucco o polvere. Data la scarsa resistenza meccanica della DBM, è consigliabile il suo utilizzo solo come riempitivo in aggiunta all osso del paziente.[12] Fig.5 Matrice ossea demineralizzata (DBM). Osso mineralizzato congelato (Freeze Bone Allograft - FBA) L FBA presenta caratteristiche osteogeniche, osteoconduttive e osteoinduttive ma il suo impiego risulta sporadico, in quanto non essendo oggetto di sterilizzazione, può presentare il rischio di reazioni immunitarie fino al rigetto o essere vettore di malattie infettive, quali ad esempio epatite e HIV. Questo tessuto, in seguito a trattamenti con perossido di idrogeno, viene sottoposto a congelamento, attraverso la riduzione graduale della temperatura di 1-2 C al minuto, fino a raggiungere -80/-100 C. Tale processo prevede l utilizzo di agenti crioprotettivi come il glicerolo o il sulfossido di dimetile per non determinare la morte cellulare nell innesto a seguito del congelamento.[4] Osso mineralizzato congelato a secco (Freeze-Dried Bone Allograft - FDBA) L FDBA viene ottenuto attraverso un trattamento che prevede: - Il lavaggio con perossido di idrogeno al 3% per 5-15 minuti in bagno ad ultrasuoni. - La delipidizzazione con etanolo al 70% per 1 ora. - Trattamento termico a temperature oltre i 300 C per ore. - Liofilizzazione e congelamento in azoto liquido fino a temperature di -90 C che determinano la perdita del contenuto di acqua. - Sterilizzazione con ossido di etilene o raggi gamma. Il tessuto osseo ottenuto tramite questi processi mantiene sia la porzione organica sia quella inorganica, provocando però un calo delle proprietà osteoinduttive e osteoconduttive rispetto 7

11 all FBA, pur mantenendo analoghe proprietà meccaniche e strutturali.[4] Successivamente all impianto, tramite microscopia è possibile osservare particelle di FDBA in stretto contatto con l osso pre-esistente (Fig.6) che in alcuni casi sono totalmente avvolte da osso neoformato. Di contro le particelle che non sono in intimo contatto con l osso originario, sono circondate solo parzialmente da un sottile strato di tessuto di nuova formazione. È rara l eventualità della presenza di infiammazione. Il nuovo tessuto osseo risulta molto mineralizzato e con ampie lacune osteocitarie nelle quali si possono osservare osteoblasti (OBL) a diretto contatto con il biomateriale e presenza di osteoni all interno di alcune particelle del materiale. Infine gli osteoclasti (OCL) sono rilevati in piccola quantità. [1] Fig.6 Osso mineralizzato (FDBA). Particella di biomateriale circondata da osso neoformato. Blu di toluidina e fucsina acida 100x.[1] Osso demineralizzato congelato a secco (Demineralized-Freeze-Dried Bone Allograft - DFDBA) Le modalità di produzione del DFDBA sono simili a quelle del FDBA, con la differenza sostanziale della demineralizzazione dell osso ottenuta tramite un bagno in acido cloridrico per ore. Questo processo di eliminazione della componente minerale conserva la concentrazione delle proteine morfogenetiche presenti nel tessuto, determinando una minore osteoconduttività e diminuendo le proprietà di osteoinduzione del graft. Queste proprietà hanno una variabilità legata all età del donatore. Infatti i donatori di sesso maschile, con età compresa tra i 41 e i 50 anni e quelli di sesso femminile con età compresa tra i 31 e i 40 anni, mostrano una maggiore osteoinduttività. Il DFDBA consente la diffusione di proteine morfogeniche (BMP) responsabili della differenziazione delle cellule mesenchimali in osteoblasti. A seguito dell impianto, è possibile osservare la presenza di particelle di DFDBA in prossimità dell osso originale, già avvolte da osso neoformato. Contrariamente, il materiale lontano dall innesto è negativo alla colorazione con fucsina e di Von Kossa, non presentando quindi né una nuova mineralizzazione né la formazione del nuovo osso. Il nuovo tessuto osseo si presenta solo in alcune aree dell innesto, nella zona centrale si può notare solo la presenza di tessuto connettivo, capillari e fibroblasti. L osso trabecolare neoformato presenta una variabilità nella composizione spaziando da lamelle mature a tessuto mineralizzato distrofico. Non è raro il rischio di fenomeni infiammatori. Il riassorbimento e il rimodellamento hanno tempistiche lunghe (anni).[1] 8

12 INNESTO OSSEO ETEROLOGO L osso eterologo, è ricavato da specie diverse da quella dell individuo ricevente (bovini, suini o equini), è un materiale osteoconduttivo e riassorbibile. La parte proteica di questi materiali è rimossa al fine di evitare risposte immunitarie a seguito del trapianto, perdendo però la proprietà osteoinduttiva. Tali innesti fungono esclusivamente da impalcature. La deproteinizzazione viene ottenuta tramite agenti chimici basati sull utilizzo di solventi organici, come i fenoli e il glicole etilenico, e con trattamento termico alla temperatura di 300 C per più di 16 ore, oppure attraverso calcinazione del materiale per più di 6 ore a temperature prossime ai 600 C con picchi anche di 1000 C. Rispetto all osso autologo, l innesto eterologo ha il vantaggio di una grande disponibilità coadiuvata da un costo relativamente ridotto, e tali aspetti lo rendono adatto al trattamento di difetti ossei di grande dimensione. Inoltre il suo impianto necessita di un singolo intervento evitando invalidità residue dovute a prelievo di tessuto osseo in altre zone. L utilizzo di osso eterologo mostra alcune problematiche quali la possibilità di trasmissione di malattie infettive e di sensibilizzazione dell ospite alle proteine del donatore, il rischio di infezioni locali.[1][4][13] Osso di origine bovina L innesto di origine bovina mostra buone caratteristiche osteoinduttive, un ottima biocompatibilità, e un rimodellamento e riassorbimento con tempistiche molto lunghe (anni). Una volta prelevato subisce processi di deproteinizzazione, di deantigenizzazione e infine di sterilizzazione. Dal punto di vista strutturale presenta la sola componente mineralizzata, ossia è costituito da apatite bovina sottoforma di cristalli che consentono una rapida disponibilità di Ca, indispensabile per la formazione di nuovo tessuto osseo. Una caratteristica rilevante di questo materiale è l intrinseca porosità che favorisce sia la stabilità strutturale che la migrazione all interno della struttura di cellule che consentono la rigenerazione. L osso di origine bovina può presentarsi in blocchi o sottoforma di granuli di spugnosa o corticale, ed eventualmente può essere legato all osso autologo in varie percentuali per formare un composito con migliori capacità osteoinduttive e osteogeniche. Di seguito si riporta un confronto delle proprietà meccaniche dell osso compatto tra umano e bovino. 9

13 Tab.2 Proprietà meccaniche osso compatto umano vs bovino. Da un analisi istologica dell apatite bovina nel sito di innesto si nota un ottima integrazione grazie al contatto diretto con l osso naturale. Tuttavia è soggetto a un lento riassorbimento: anche a distanza di anni sono ancora visibili tracce di questo biomateriale in percentuali variabili tra il 20 e il 40%. (Fig.7-10). Fig.7 Esame istologico di osso eterologo di origine bovina in avanzata fase di rimaneggiamento.[1] Fig.8 Immagine a luce polarizzata.[1] Fig.9 A 12 mesi dall innesto, attecchimento dell innesto ancora con presenza di osso eterologo.[1] Fig.10 Immagine a luce polarizzata.[1] 10

14 Le particelle di osso bovino sono rapidamente avvolte da osso neoformato corticale con osteoni disposti secondo una direzionalità fisiologica. In Fig.11 si notano osteoblasti che depongono il nuovo tessuto a diretto contatto con la superficie del graft, ed è possibili osservare lacune osteocitarie piene di osteoclasti. L impianto di osso bovino all interno del soggetto non mostra nessun processo infiammatorio.[1][13] Fig.11 Osso di origine bovina. Non si osservano gap all interfaccia tra particella e osso neoformato. Blu di toluidina e fucsina acida 200x.[1] Fig.12 Osso di origine bovina. Osso neoformato circondata la particella di biomateriale. Blu di toluidina e fucsina acida 200x.[1] 11

15 Osso di origine porcina L osso suino è un materiale biologico biocompatibile. Inoltre presenta proprietà di osteoinduzione e un riassorbimento di mesi (Fig.13). Una volta innestato, l osservazione al microscopio ottico del tessuto mostra particelle dell innesto attorniate da osso di nuova formazione. Esso presenta lacune osteocitarie contenenti osteoclasti. Si osserva presenza di capillari e cellule osteoblastiche le quali producono all interno dei canali di Havers matrice ossea non mineralizzata. Tra osso neoformato e le particelle di biomateriale non si ha infiammazione, né la presenza di gaps (Fig.14). Fig.13 Osso di origine porcina. All interno della particella si osserva neoformazione ossea. Nello spazio midollare adiacente è presente una cellula gigante multinucleata. Blu di toluidina e fucsina acida 400x.[1] Fig.14 Osso di origine porcina. Particella di biomateriale circondata da osso neoformato. Blu di toluidina e fucsina acida 200x.[1] 12

16 Osso di origine equina I materiali di origine equina, subiscono processi di deantigenazione per via enzimatica rendendo il materiale simile all idrossiapatite naturale, presentando un intervallo temporale di riassorbimento di circa 12 mesi. Questo innesto possiede caratteristiche di biocompatibilità e osteoconduttività pertanto è utilizzato come sostituto osseo, anche miscelato con altri materiali. A seguito dell innesto, si osserva osso lamellare neoformato che circonda il graft e una bassa percentuale di osso a fibre intrecciate. Si notano trabecole in fase di rimodellamento. Il tessuto risulta strettamente in contatto con il materiale e non ci sono segni di reazione infiammatoria.[1][13] Fig.15 L immagine a sinistra mostra formazione di osso con incorporazione dell innesto. Al centro rimodellamento dovuto a osteoclasti. Infine all estrema destra si può notare un completo rimodellamento del tessuto dove esso ha invaso completamente l innesto. INNESTO OSSEO SINTETICO O ALLOPLASTICO I biomateriali alloplastici sono sostituti sintetici dell osso con proprietà di tipo osteoconduttivo, e vengono classificati come bioriassorbibili, non bioriassorbibili, o parzialmente bioriassorbibili. Devono inoltre presentare proprietà di biocompatibilità e biodegradabilità per permettere l integrazione del tessuto nativo, ed imitare la struttura gerarchica multidimensionale dell osso originale. Con questi materiali sintetici si realizzano gli scaffold che forniscono un supporto meccanico temporaneo o duraturo alle cellule impiantate in esso. La sua progettazione deve rispondere a determinate caratteristiche biologiche, biofisiche e anatomiche, come porosità, interconnessione, biocompatibilità, bioriassorbibilità, proprietà meccaniche, penetrazione cellulare, rigenerazione tissutale, e infine interfacciamento con la parte sana. In particolare la porosità risulta essere un aspetto fondamentale nella progettazione di uno scaffold. Infatti gli scaffold ad elevata porosità microscopica, permettono una maggior diffusione dei nutrienti, una maggiore vascolarizzazione ed una migliore organizzazione spaziale per la crescita cellulare e la formazione di matrice extracellulare. La dimensione dei pori per uno scaffold osseo 3D, varia tra i 100 e i 400 µm, in quanto tale dimensione favorisce l afflusso di sufficienti nutrienti e una migrazione cellulare degli osteoblasti, mantenendo inoltre l integrità strutturale. Oltre ad essere biomimetico sia fisicamente che chimicamente, uno scaffold osseo sintetico ideale è capace di rilasciare molecole bioattive e/o farmaci in maniera controllata, sia spazialmente che 13

17 temporalmente. Un ruolo critico nel successo complessivo dello scaffold è la selezione del materiale che deve fare da supporto (bulk). Tale materiale deve avere le proprietà meccaniche adatte alle applicazioni che coinvolgono il sostegno di carichi. Molti materiali sono stati analizzati al fine di realizzare questi innesti sintetici tra cui i metalli, i materiali ceramici, i polimeri e i compositi di questi. I metalli come il titanio, leghe di nichel-titanio e magnesio sono biocompatibili, resistenti, lavorabili e relativamente poco costose. Tuttavia presentano generalmente un modulo elastico più elevato dell osso, e ciò può indurre lo stress-shielding. Tale fenomeno consiste in una perdita di densità ossea, dovuta al ridotto carico sull osso naturale rispetto al dispositivo di fissaggio metallico, impedendo ai tessuti nativi di ricevere un adeguata stimolazione meccanica, che influenza significativamente il comportamento fenotipico degli osteoblasti.[15] I materiali ceramici sono utilizzati per la realizzazione di scaffold porosi. A causa della loro innata fragilità, le proprietà meccaniche macroscopiche sono inadeguate per le superfici che supportano il carico, e questo aspetto limita seriamente il loro utilizzo come scaffold per tessuto osseo sintetico. I polimeri sono degli ottimi candidati per gli innesti ossei, grazie alle loro proprietà fisiche e chimiche. In particolare hanno una eccellente biocompatibilità, tuttavia le loro scarse proprietà di resistenza meccanica li rendono inappropriati per la realizzazione di scaffold ossei che devono supportare carichi eccessivi.[16] Materiali sintetici metallici I materiali metallici non porosi, hanno un modulo di Young molto più elevato dell osso naturale, che spesso induce il riassorbimento del tessuto (stress-shielding). Le proprietà meccaniche sono riassunte nella Tab.3. Tab.3 Proprietà meccaniche dei principali innesti metallici.[16] La strategia generale per adattare i materiali metallici all impianto è quella di ridurre la loro rigidezza per mezzo di una struttura porosa, eliminando quindi lo stress-shielding. Nelle scorse decadi, sono stati sviluppati scaffold porosi metallici con leghe basate sul titanio e leghe basate sul magnesio. In particolare è stata sviluppata una tecnica di prototipazione rapida per produrre scaffold porosi basati su una rete interconnessa di pori (Fig.16).[16] 14

18 Fig.16 Scaffold porosi in titanio preparati attraverso stampa 3D, (a) immagine SEM di scaffold con pori di 200, 300 e 400 µm. (b) grafico modulo di Young-dimensione pori, (c) grafico tensione di snervamento-dimensione pori.[16] Alcune delle leghe metalliche più utilizzate per la realizzazione di innesti ossei sintetici sono le leghe a memoria di forma NiTi e le leghe di MgF 2. - Scaffold in lega di NiTi: la lega di NiTi è un ottimo candidato per una vasta gamma di applicazioni biomediche essendo un materiale a memoria di forma, con ottime caratteristiche di pseudo-elasticità. In particolare, combinando questa peculiare pseudoelasticità con uno scaffold poroso in lega di NiTi, si ottengono migliori proprietà biomeccaniche in vivo rispetto agli scaffold porosi in solo titanio. Infatti la porosità degli scaffold in NiTi favorisce un ottima vascolarizzazione, una profonda penetrazione del tessuto osseo neoformato, e impedisce che quest ultimo sia soggetto ad uno stress di carico eccessivo. La dimensione ottimale dei pori risulta nell intervallo compreso tra i 100 e i 400 μm. La porosità risulta avere un importante influenza sul comportamento meccanico del materiale. Infatti, essendo il modulo elastico delle leghe NiTi (28-41 GPa) superiore rispetto a quello dell osso naturale (20 GPa), se la struttura interna del materiale è porosa al 50%, si ha una diminuzione sostanziale della rigidezza, che raggiunge valori intorno ai GPa, e consente quindi una ricrescita ossea significativa. Nella figura sottostante, è quindi osservabile come la lega porosa a memoria di forma di NiTi presenta una struttura tridimensionalmente interconnessa, permeabile e aperta. 15

19 Fig.17 Porosità della lega NiTi.[17] Osservando la curva sforzo-deformazione a compressione del NiTi poroso (Fig.18) si notano tre diverse sezioni: 1) una evidente fase elastico-lineare; 2) una fase in cui il materiale collassa per instabilità e cedimento plastico; 3) una fase finale, in cui la sollecitazione raggiunge il suo valore massimo fino ad arrivare a rottura.. Fig.18 Curva sforzo-deformazione della lega NiTi nel test a compressione.[17] I risultati delle proprietà meccaniche sono osservabili nella tabella seguente (Tab.4). Va sottolineato come il modulo di Young, essendo molto simile a quello delle ossa naturali, sia uno dei parametri più significativi che ha permesso l utilizzo di questi materiali nella progettazione di biomateriali per la sostituzione ossea, riducendo enormemente il fenomeno dello stress-shielding. La curva sforzo-deformazione dell osso spugnoso in compressione è infatti molto simile a quella della lega NiTi. Tuttavia, ad eccezione del modulo elastico, le altre proprietà meccaniche dell osso spugnoso sono molto differenti dalla lega porosa in NiTi, soprattutto nel tratto della curva successivo a quello elastico-lineare. Infatti il NiTi presenta una tensione di danneggiamento e di rottura nettamente superiori a quelle dell osso spugnoso. 16

20 Tab.4 Proprietà meccaniche della lega NiTi nel test a compressione. Sono riportati i valori di modulo elastico E, tensione di danneggiamento σ 0, tensione massima σ max, e deformazione a rottura ε.[17] Confrontando il NiTi con l osso spugnoso in un test a flessione (Tab.5), si nota come la lega metallica è nettamente più resistente e rigida dell osso naturale. L esaminazione delle superfici dopo la flessione rivela una deformazione plastica della struttura dovuta all allungamento del campione nel lato a trazione. Tab.5 Proprietà meccaniche della lega NiTi nel test a flessione. Sono riportati i valori di rigidezza R, tensione di danneggiamento σ 0, e tensione massima σ max.[17] Nella Fig.19 viene mostrata la curva tensione-numero di cicli (S-N) risultante dal test di compressione a fatica. Dopo questo tipo di test, la lega mostra danneggiamenti nel piano della massima tensione di taglio (45 dall asse dell applicazione del carico), e in particolare, il limite di fatica, raggiunto a cicli, mostra un tensione limite di 7.5 MPa. [17] Fig.19 Curva S-N della lega NiTi nel test di compressione a fatica.[17] - Scaffold in lega di MgF 2 Le strutture porose in magnesio sembrano avere il potenziale di essere utilizzate come scaffold per la sostituzione ossea grazie alle eccellenti proprietà meccaniche e la biodegradabilità. Gli studi in vitro hanno suggerito che gli ioni di Mg, ossia il prodotto della degradazione dello scaffold poroso, possono promuovere la proliferazione degli osteoblasti, la differenziazione, e l espressione di marker osteogenici. Inoltre, numerosi studi in vivo hanno dimostrato che gli scaffold porosi in magnesio in siti endo-ossei possono biodegradarsi e indurre la formazione di nuovo tessuto osseo e la stimolazione osteogenica. La porosità e la dimensione dei pori sono proprietà morfologiche cruciali di questi scaffold per la rigenerazione ossea. Infatti tali scaffold porosi mostrano una porosità superiore al 17

21 50% con una dimensione minima dei pori di 100 µm, in quanto una dimensione media dei pori maggiore di 300 µm fornisce migliori condizioni per la formazione ossea e la vascolarizzazione. Tuttavia questi scaffold mostrano peggiori proprietà meccaniche, significativamente influenzate dalla struttura del poro (dimensione del poro, porosità e orientamento del pori). La resistenza meccanica gioca un ruolo fondamentale nel carico osteogenico durante la guarigione. Non sono stati eseguiti ancora studi sugli effetti della dimensione dei pori negli scaffold in vivo. Lo svantaggio principale degli scaffold realizzati con magnesio, è la rapida degradazione del materiale. Studi precedenti hanno mostrato che la presenza difetti cristallini indebolisce la resistenza alla corrosione. Pertanto, nel tentativo di purificare gli scaffold, è stato applicato alle superfici delle leghe di magnesio, un rivestimento in fluoruro, dimostrando una riduzione del tasso di corrosione in vitro. Inoltre il fluoruro ha effetti benefici sulla crescita e mineralizzazione degli osteoblasti in vitro e stimola la formazione di osso in vivo. Pertanto, un rivestimento omogeneo in MgF 2 sembra ridurre la rapida corrosione. Le proprietà meccaniche della lega di MgF 2 possono essere regolate attraverso la modifica dell orientamento dei pori, senza alterare la struttura complessiva. In particolare sono stati analizzati scaffold con pori delle dimensioni rispettivamente di 250 e 400 µm. La figura seguente mostra un esempio di realizzazione di uno scaffold poroso in Mg; partendo infatti da filamenti in Ti, si procede con l inserimento all interno di queste di una colata di Mg (puro al 99,98%) ottenendo una struttura composita; immergendo quindi il composito in una soluzione di acido fluoridrico posto a temperatura ambiente, si elimina la componente in Ti ottenendo uno scaffold poroso in Mg. Fig.20 Procedimento di fabbricazione di uno scaffold in Mg. E stata eseguita la scansione in micro-ct per quantificare la dimensione dei pori e la porosità dello scaffold. Entrambe le tipologie presentano approssimativamente strutture porose omogenee, e quasi tutti i pori sono interconnessi. Le porosità misurate per gli scaffold con pori di 250 e 400 µm sono rispettivamente di /-2.67% e /-3.10% con un obiettivo di porosità del 55%. Perciò, non sono state trovate differenze significative tra la porosità raggiunta e quella auspicata, dimostrando che la porosità dello scaffold in magnesio può essere controllata efficacemente.[18] Tab.6 Proprietà di due scaffold ottenute tramite micro-ct.[18] 18

22 Per quanto riguarda le proprietà meccaniche, la resistenza a compressione è rispettivamente di /-2.14 e /-3.65 MPa per gli scaffold con pori di 250 μm e di 400 μm; il modulo di Young è di /-0.06 e /-0.09 GPa. Apparentemente entrambi gli scaffold con la porosità del 55% mostrano un modulo di Young superiore rispetto all osso spugnoso ( GPa). Inoltre la resistenza a compressione è all interno dell intervallo dell osso spugnoso umano ( MPa). Tab.7 Principali proprietà meccaniche di alcuni pori rappresentativi paragonati con quelli delle ossa umane.[18] Fig.21 Confronto tra le 2 porosità: in alto a sinistra tasso di corrosione, in alto a destra vitalità cellulare, in basso a sinistra rapporto volume osseo/volume totale, in basso a destra spessore della trabecola ossea. Questi grafici mostrano complessivamente che utilizzando pori di dimensioni maggiori si ottiene una maggior corrosione(dovuta alla maggior flusso di liquidi), una maggiore quantità di osso neoformato ed uno spessore più elevato del tessuto osseo. Da questi risultati l ipotesi più accreditata è quella che una dimensione del poro maggiore consente una migliore vascolarizzazione con conseguente maggior afflusso di ossigeno, oligoelementi e sostanze nutritive fondamentali per la crescita ossea. Il Mg è una componente fondamentale per la traduzione delle informazioni genetiche contenute nel mrna e quindi si può dedurre che la sua presenza influenzi positivamente la 19

23 produzione di collagene. Tutto questo converge ad ottenere proprietà osteoinduttive migliori con pori di 400 µm rispetto a quelli con porosità di 250 µm.[18] Materiali sintetici ceramici Idrossiapatite (HA) L idrossiapatite di calcio è una ceramica biocompatibile che può essere ottenuta sia da fonti naturali, come corallo marino o ossa bovine, che da un processo di sintesi a partire da sali di fosfato di calcio. Le varie forme dell idrossiapatite presenti in commercio differiscono tra loro per la forma, solida o granulare, per la grandezza dei granuli e per il volume delle porosità presenti. Fig.22 Geometrie di scaffold ossei realizzati in idrossiapatite. La forma granulare compatta presenta una densità maggiore al 65%, una bassa porosità, un alta cristallinità e una bassissima percentuale di riassorbimento, mentre la forma porosa presenta una microstruttura haversiana simile a quella dell osso con pori di diametro superiore ai 100 μm che favoriscono lo stabilirsi di una neovascolarizzazione e un alto grado di riassorbimento.[4] In particolare l idrossiapatite porosa presenta caratteristiche meccaniche inferiori a quella compatta, ma molto simili a quelle delle ossa spugnose (Fig. 23). La presenza di pori della dimensione di μm crea il microambiente ideale per la rigenerazione ossea ed inoltre accelera il processo di dissoluzione grazie alla maggior area superficiale specifica, rispetto ad un ceramico denso.[19] 20

24 Fig.23 Biomimesi geometrica A) idrossiapatite porosa; B) osso spugnoso naturale. La più importante proprietà di questo materiale è la sua somiglianza chimica con la fase mineralizzata dell osso; questa similarità spiega il potenziale osteoconduttivo e l eccellente biocompatibilità dell idrossiapatite.[11] Inoltre l HA è caratterizzata da una resistenza alla degradazione molto elevata, per questo motivo il suo riassorbimento avviene nel corso di diversi anni. È libera da ogni forma di reazione immunitaria, trasmissione di malattia e patologie da sito di impianto, e per questo è considerata un alternativa sicura e conveniente rispetto agli altri innesti alloplastici, eterologhi ed autologhi.[16][20] Per quanto riguarda le proprietà chimico-fisiche di questo materiale, esso è caratterizzato da alta temperatura di fusione, durezza, elevata resistenza alla compressione (leggermente maggiore dell osso spugnoso [21]), ma nello stesso tempo presenta una certa fragilità e una difficile processabilità. In Tab.8 sono riportate le principali proprietà meccaniche dell idrossiapatite sintetica, che differiscono parzialmente da quella biologica, in quanto dipendono dal processo con cui si sono formati i cristalli. Tab.8 Proprietà meccaniche dell idrossiapatite.[19] Biovetri I vetri bioattivi sono materiali costituiti da silice (SiO 2 ), ossido di calcio (CaO), ossido di sodio (Na 2 O) e ossido di fosforo (P 2 O 5 ). Essi sono tra i materiali più promettenti per la costruzione di scaffold per la rigenerazione ossea. Infatti presentano un ottima osteoconduttività, una biodegradabilità controllata, la capacità di trasportare cellule e la capacità di attivare l espressione 21

25 osteogenica; favoriscono poi la formazione della fase minerale nell osso e hanno la capacità di trasportare farmaci. I biovetri sono stati utilizzati clinicamente per la ricostruzione timpano-plastica, per la ricostruzione dei difetti ossei facciali, per il trattamento dei difetti ossei paradontali, nel riparare fratture del piano orbitale, nella fusione lombare, come materiale di riempimento in chirurgia dei tumori benigni, e per la ricostruzione dei difetti della cresta iliaca dopo l impianto di un innesto osseo. Il comportamento dei biovetri dipende dalla composizione del vetro, dal ph dell ambiente circostante, e dalla temperatura. Grazie alla porosità del biovetro, che permette all osso neoformato di depositarsi, si migliora la vascolarizzazione, la differenziazione degli osteoblasti, il riassorbimento e la bioattività. Tuttavia, la porosità limita le proprietà meccaniche degli scaffold 3D, soprattutto per innesti tesi a riparare strutture sottoposte a carico. Per esempio, gli scaffold in biovetro più tradizionali sono fragili e non possiedono le proprietà di pseudo elasticità; in particolare, a parità di porosità, sia lo sforzo a compressione che il modulo di Young non coincidono con quelli dell osso naturale. Tali caratteristiche meccaniche variano con i differenti processi di fabbricazione e con i materiali a partire dai quali sono costruiti gli scaffold (Tab.9).[16] Tab.9 Caratteristiche degli scaffold in biovetro più diffusi.[16] Per ottenere scaffold ottimali, quindi, è importante controllare la struttura e la composizione degli innesti, regolando i parametri di processo e i materiali di fabbricazione, al fine di raggiungere delle proprietà meccaniche soddisfacenti. Per esempio, è stato fabbricato con successo, usando la matrice di osso spugnoso demineralizzato (DBM) come template, un materiale biomorfo con struttura e proprietà meccaniche analoghe a quelle dell osso spugnoso, come ad esempio la tensione di snervamento. Tuttavia sono presenti anche differenze come la pseudo elasticità, maggiore nel caso dei biovetri. Un altro esempio è rappresentato dallo scaffold di vetro bioattivo mesoporoso MBG (pori che variano tra 2-50 nm), testato in vitro simulando il contatto con i fluidi corporei, che presenta una migliore resistenza meccanica rispetto ai biovetri tradizionali (Fig. 24). Le fasi inorganiche di questo materiale, insieme al design della struttura, sono importanti per il miglioramento delle proprietà biomeccaniche; di recente è stato fabbricato uno scaffold di MBG composto da CaO M x O y SiO 2 P 2 O 5 (M = Zr, Mg, Sr). Valutando le proprietà meccaniche, si nota che la sostituzione parziale di ZrO 2, MgO o SrO al posto di CaO può migliorare la resistenza complessiva del MBG. Tuttavia, a parità di porosità, la resistenza a compressione dei sostituti di ZrO 2 ha raggiunto valori di /-15.2kPa, molto più alta dei valori degli scaffold di CaO-SiO 2 -P 2 O 5.[16] 22

26 Fig.24 (a) Valori di resistenza a compressione per lo scaffold microporoso MBG-Si85, prima e dopo l immersione in SBF (fluidi corporei simulati). L inserto mostra il plot sforzo-deformazione prima e dopo il bagno nei fluidi corporei simulati; (b) immagini TEM dei limiti dei grani di MBG-Si85 dopo il bagno in SBF per 7 giorni.[16] Materiali sintetici polimerici Per merito della loro eccellente biocompatibilità, della loro composizione chimica facilmente regolabile, la buona riorganizzazione biologica e la biodegradabilità controllabile, i biopolimeri (sia naturali che sintetici), sono stati utilizzati ampiamente come biomateriali per la fabbricazione di dispositivi medici e scaffold nell ingegneria dei tessuti. La feature più importante è che le proprietà meccaniche di questi compositi possono essere modulate in base alle necessità, controllando le frazioni in volume dei vari componenti, così come le composizioni. I polimeri sono inoltre esenti da risposte immunitarie da parte dell organismo. Pertanto, la matrice extracellulare (ECM) e i materiali simili alla ECM sono spesso usati come componenti essenziali per sintetizzare compositi basati su biopolimeri o scaffold ibridi. I polimeri naturali simili alla ECM sono solitamente miscelati con alcuni polimeri sintetici, come PLA, PGA, PLGA, e PCL per formare compositi che posseggano le proprietà meccaniche e le funzioni biologiche richieste. In generale, le proprietà meccaniche dei polimeri ECM sono principalmente regolate cambiando i rapporti nelle composizioni e la struttura degli scaffold. Acido polilattico-co-glicolico (PLGA) L acido polilattico-co-glicolico è un copolimero usato come scaffold, grazie alle sue proprietà di biocompatibilità e biodegradabilità. Il PLGA è sintetizzato per mezzo della copolimerizzazione di due differenti monomeri, l acido glicolico e l acido lattico. In particolare esso è spesso utilizzato nei materiali compositi, come ad esempio in aggiunta al collagene puro. Come mostrato in Tab.10, i valori di resistenza a trazione, modulo elastico e rigidezza del composito PLGA-collagene sono maggiori rispetto a quelli di PLGA e collagene puro sia nello stato idratato che asciutto.[22] Infatti seppur il collagene presenti proprietà di resistenza meccanica ridotte, esso è in grado di rinforzare il PLGA se inserito all interno dei pori dello scaffold polimerico. Ad esempio un graft di puro collagene con una porosità del /-6.52%, mostra una bassa resistenza a compressione (

27 MPa) e un modulo di Young di 1.27 MPa. Il connubio PLGA-collagene migliora significativamente questi valori, portandoli a 0.83 e 5.56 MPa rispettivamente, anche a dispetto di una porosità del 94.79%. Inoltre, la dimensione media dei pori del collagene arricchito con PLGA è di µm, che è ben maggiore di quella analoga dello scaffold in collagene puro (26.44 µm).[16] Tab.10 Proprietà meccaniche di PLGA, collagene e ibrido PLGA-collagene.[22] Fig.25 Micrografia elettronica a scansione di una membrana porosa di PLGA. Policaprolattone (PCL) Il policaprolattone (PCL) è un polimero sintetico lentamente biodegradabile, biocompatibile ed economico dotato di buone proprietà meccaniche, che possono essere migliorate mediante l aggiunta di altri materiali. Al fine di imitare la struttura della matrice extracellulare si utilizza il processo di elettrofilatura, attraverso il quale si riescono ad ottenere filamenti di polimero con diametro molto piccolo (circa 100 nm), grazie all utilizzo di un campo elettrico che stira le fibre con una forza costante ed omogenea. Fig.26 Schema del processo di elettrofilatura, il passaggio dalla fase liquida a quella solida si ha nella fase di volo.[23] 24

28 Fig.27 Immagini SEM che mostrano la morfologia della fibre del materiale ottenuto attraverso elettrofilatura. (A) gelatina/pcl. (B) soluzione contente 10 wt% nha. (C) gelatina/pcl contenente 10 wt% polvere d osso. D,E ed F (risoluzione di 2 µm) mostrano le stesse immagini di A,B e C (risoluzione di 10 μm) con risoluzione maggiore: in questo modo è possibile apprezzare le caratteristiche peculiari della struttura superficiale.[24] A causa della scarsa idrofilicità, il PCL possiede basse proprietà di adesione cellulare, migrazione e proliferazione. Al fine di aumentare queste proprietà spesso al PCL viene aggiunta gelatina, che è un polimero naturale, oppure viene aggiunta HA per promuovere la corretta integrazione dell impianto con l osso naturale aumentando in tal modo le proprietà di bioattività e osteoinduttività.[22] Un altro esempio di materiale composito con PCL è lo scaffold in biovetro rivestito con policaprolattone, che, a confronto con un bioglass non rivestito, mostra un aumento della rigidezza del 58%, oltre ad una migliore stabilità complessiva della struttura.[16] Tab.11 Proprietà principali del PCL. Fig.28 Crescita di osso in scaffold di PCL (osso bianco, scaffold azzurro). 25

29 Acido poliglicolico (PGA) Il PGA è un materiale termoplastico rigido, ad elevata cristallinità (45-55%), con un alto punto di fusione (225 C) ed un alta temperatura di transizione vetrosa (35-40 C). Grazie al suo elevato grado di cristallizzazione, non è solubile in solventi organici, ma è possibile scioglierlo solo in solventi altamente fluorurati. Il PGA è più idrofilico rispetto al PLA e può essere lavorato con le tecniche di fabbricazione più comuni quali l estrusione, l iniezione e lo stampaggio a compressione, che possono influenzare le proprietà e la degradazione del materiale. Attraverso l utilizzo di acido poliglicolico si possono realizzare scaffold porosi. La resistenza a trazione e il modulo elastico del PGA raggiungono valori elevati, rispettivamente di 730 MPa e 7 GPa. Il PGA può essere copolimerizzato con altri monomeri per ridurre la rigidezza delle fibre; esso è utilizzato nell ingegneria tissutale ossea poiché l acido glicolico prodotto dalla degradazione è un naturale metabolita e pertanto è non tossico. Sebbene il prodotto di degradazione sia riassorbibile ad alta concentrazione, esso può comunque causare l aumento della concentrazione localizzata di acido che può recare danni ai tessuti circostanti.[16] Tab.12 Proprietà meccaniche PGA. Acido polilattico (PLA) Il PLA viene sintetizzato dal dimero ciclico dell acido lattico che esiste come due isomeri ottici: D&L-lattato è l isomero naturale, e DL-lattide è il composto sintetico. L omopolimero L-lattide (LPLA) è un polimero semi cristallino. Questo materiale ha un elevata resistenza alla trazione (40 MPa), un elevata elongazione e un modulo elastico di 2.7 GPa, che lo rendono più adatto in applicazioni ad elevato carico, come il fissaggio ortopedico. Il PLA ha una struttura lineare, e risulta essere più amorfo e idrofobico del PGA. L acido polilattico può essere trattato con vari metodi come lo stampaggio ad iniezione, l estrusione, il soffiaggio e la termoformatura.[25] Tab.13 Proprietà meccaniche PLA.[25] In particolare, il PLA si presta bene alla stampa 3D con il processo di nozzle-deposition. Questo metodo di deposizione di biopolimeri è in grado di estrudere soluzioni di biopolimero e cellule viventi per la costruzione di scaffold 3D in forma libera. 26

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