LE PMI ITALIANE: UN QUADRO INTRODUTTIVO (a cura di Cenciarini R.A., Dallocchio M., Dell Acqua A., Etro L.L.)

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1 cap 01 libro finanza :22 Pagina 13 CAPITOLO PRIMO LE PMI ITALIANE: UN QUADRO INTRODUTTIVO (a cura di Cenciarini R.A., Dallocchio M., Dell Acqua A., Etro L.L.) INTRODUZIONE Le piccole e medie imprese rappresentano per molteplici aspetti il vero cuore pulsante dell economia nazionale. In un contesto competitivo sempre più globale, caratterizzato da una concorrenza agguerrita e quasi incontrollabile, le Pmi sembrano essere le più pronte, per dinamicità e capacità di adattamento, ad affrontare la sfida. Questo primo capitolo ha lo scopo di introdurre sinteticamente, nel primo paragrafo, il contesto storico che ha portato alla nascita delle Pmi in Italia, senza tralasciare gli avvenimenti storici più significativi accaduti a livello internazionale. Nel secondo e nel terzo paragrafo viene approfondita la situazione economica odierna del Paese, facendo specifico riferimento al Rapporto Annuale ISTAT del 2003 e alla Relazione Annuale 2003 della Banca d Italia. Il quarto paragrafo ha lo scopo di far conoscere meglio il modello di capitalismo italiano, descrivendone punti di forza e debolezza. Viene inoltre evidenziata l importanza che le piccole e medie imprese hanno per l economia del Paese, sia dal punto di vista occupazionale che da quello della ricchezza prodotta, con uno sguardo attento rivolto anche oltre confine. Il capitolo si conclude con una sintetica ma efficace descrizione della struttura finanziaria delle Pmi, indispensabile per comprendere l analisi empirica effettuata nei successivi capitoli. 13

2 cap 01 libro finanza :22 Pagina 14 Cap. Primo 1.1 IL CONTESTO ECONOMICO DEL PAESE DAL SECONDO DOPOGUERRA AD OGGI: CENNI STORICI L Italia nell immediato dopoguerra Alla fine del secondo conflitto mondiale l Italia si trovava ad affrontare numerose e difficili sfide: da un punto di vista strettamente politico si trattava di dare una spinta di credibilità internazionale al Paese e alla Repubblica, la nuova forma di governo che aveva soppiantato la monarchia in seguito al Referendum popolare del 1946; da un punto di vista economico il Paese doveva rapidamente risolvere i problemi della ricostruzione, della riconversione delle industrie e della ripresa della produzione industriale; dal punto di vista sociale il problema maggiore era rappresentato dalla disoccupazione crescente e dalla miseria delle campagne, che spesso davano luogo a tensioni sociali che rischiavano d incrinare seriamente la stabilità del Paese. All aprirsi dell età repubblicana il sistema industriale italiano si presentava articolato. Accanto ai settori ad alta intensità di capitale, caratterizzati da un elevato grado di concentrazione e da economie di scala e di diversificazione, erano presenti quelli nei quali flessibilità, design e qualità costituivano un fattore assai più rilevante nel determinare il successo di un impresa. Un dualismo rinvenibile anche all interno di alcuni comparti, come quello meccanico, dove alle grandi imprese dedite alla produzione di massa si affiancava un ampio strato di piccole e medie aziende che operava in funzione di sub-contracting oppure in nicchie specializzate. Così a fianco dei grandi oligopoli pubblici e privati si trovavano molte piccole imprese di natura semiartigianale. A livello competitivo è opportuno ricordare che nei settori più avanzati una distanza considerevole separava l Italia dalle nazioni leaders del processo di industrializzazione (Germania, Inghilterra e Stati Uniti) in termini di capitale investito, di tecnologie applicate, di grado di specializzazione degli impianti. Se da una parte evidenti erano le difficoltà attraversate nel dopoguerra dagli organismi di maggiori dimensioni, che dovevano fronteggiare mancanza di domanda e riconversione industriale, dall altra si proponevano nuovi ruoli e nuove prospettive per le piccole imprese, in passato non certo favorite dalla politica industriale e monetaria del Regime, che apparivano ora le meglio attrezzate a resistere nella problematica congiuntura postbellica. Al presidente dell IRI, Giuseppe Paratore, che sottolineava la grande capacità di adatta- 14

3 cap 01 libro finanza :22 Pagina 15 Le PMI Italiane: un quadro introduttivo mento delle piccole imprese rispetto alle più grandi, faceva eco il presidente della Confindustria, Angelo Costa: Noi non potremo mai pretendere di fare, salvo in alcuni casi, della grande industria Viceversa, abbiamo tutti gli elementi favorevoli per uno sviluppo assai maggiore dell attuale della piccola e media industria Su tutta la produzione che il mercato mondiale richiede, c è una parte di prodotti in serie e su questo campo noi dobbiamo limitare la nostra produzione e una parte di prodotti riservati alla piccola e media industria; è per questi che non vedo il pericolo di una concorrenza estera alla nostra produzione. Non tutti erano però disposti ad accettare l idea di un Italia orientata alla piccola impresa dedita alle produzioni di nicchia; tuttavia la presenza delle piccole e medie imprese era considerata dai più come non ideale ma inevitabile, dato il grado di inefficienza mostrato dalle grandi imprese Il miracolo economico degli anni Cinquanta: quando grande era bello Il decennio che segue il 1950 vede un processo di modernizzazione socioeconomica del Paese che segna la definitiva affermazione dell industria e del contesto urbano come forma prevalente d insediamento. Si ripete, ma con maggiore intensità ed estensione territoriale, quanto era avvenuto all inizio del secolo, un periodo per il quale si è parlato di rivoluzione industriale italiana: gran balzo in avanti del reddito nazionale la cui crescita annua sfiora il 6%, consistente incremento del contributo dell industria alla formazione del prodotto interno lordo, particolare sviluppo all interno del settore secondario dei comparti ad alta intensità di capitale e a più elevato contenuto tecnologico, raddoppio della popolazione delle città capoluogo con i centri superiori a 100 mila abitanti che passano da un incidenza del 20% al 25% del totale della popolazione. Dopo gli anni dell autarchia e della guerra riprende dunque la rincorsa nei confronti delle nazioni leader dell Europa occidentale. È difficile delineare con chiarezza le cause di una simile esplosione, anche se i maggiori fattori possono essere ricondotti a: voglia di riscatto e capacità di sacrificio degli italiani; basso costo della manodopera; domanda interna in forte crescita; rapido aumento delle esportazioni di merci italiane, soprattutto in seguito alla costituzione del Mercato Comune Europeo (MEC) nel 1957, all ingresso nella Comunità Economica Europea (CEE) e all adesione alla Comunità Europea del Carbone e dell Acciaio (CECA). L apertura dell Italia 15

4 cap 01 libro finanza :22 Pagina 16 Cap. Primo all economia internazionale non fu però all insegna della concorrenza e del liberismo, se si ottenne di mantenere sino agli anni sessanta i dazi più elevati rispetto agli altri Paesi dell Europa occidentale per i prodotti siderurgici, le automobili, gli apparecchi elettrici, i filati e se sussidi e agevolazioni creditizie e fiscali vennero concesse ripetutamente alle imprese italiane. L avvento di un mercato di massa conseguenza diretta dell aumento della domanda interna ed estera per beni essenziali al consumo di un paese che andava rincorrendo con rapidità quelli più avanzati, non poteva non trovare quale principale interlocutore la grande impresa che già dall inizio del secolo in Italia, come del resto ovunque nel mondo industriale, dominava i settori di base, la metallurgia, la meccanica, la chimica, la produzione di energia. L improvviso e inaspettato espandersi della domanda costituiva senza dubbio una occasione difficilmente ripetibile sia per consolidate società industriali di medie e grandi dimensioni, che da sempre lamentavano la ristrettezza del mercato interno, sia per nuovi entranti, e tuttavia al tempo stesso rappresentava una sfida di non poco conto per imprenditori e managers. Era necessario investire in nuovi impianti superando il timore della sovrapproduzione; espandere il profitto totale e abbassare quello unitario; ricercare la crescita per ridurre drasticamente i costi unitari e non come strumento di contrattazione col mondo politico; concentrare tutte le risorse su una ben definita filiera produttiva eliminando rischi di dispersione; innovare anche radicalmente il disegno organizzativo sia nella struttura generale dell impresa sia all interno della fabbrica, così da creare un fluido collegamento fra produzione e mercato. Le imprese di maggiori dimensioni decisero così di intraprendere investimenti di dimensioni mai viste fino ad allora; i maggiori beneficiari furono l industria automobilistica e quella siderurgica del nord Italia, che videro moltiplicarsi i rispettivi livelli di produzione. L affermazione e la crescita della grande impresa con i suoi stabilimenti di notevoli dimensioni e con le sue diramazioni produttive esterne fu fra le cause più importanti di grandi migrazioni e fenomeni di inurbamento (nel 1961, ad esempio, 240 mila lavoratori meridionali si trasferirono al Nord; nel decennio precedente Milano era passata da a abitanti e Torino da a ). In ogni caso, non solo le grandi aziende dovettero affrontare il rapido boom della domanda; anche le imprese di nicchia e le piccole imprese furono avvantaggiate dal ciclo economico espansivo, infatti la maggiore produzione delle grandi imprese si rifletteva in un corrispondente aumento della produzione 16

5 cap 01 libro finanza :22 Pagina 17 Le PMI Italiane: un quadro introduttivo dei piccoli fornitori di semilavorati e materie prime. Le unità di produzione si allontanavano sempre più dalla figura della bottega artigiana per indirizzarsi verso una fisionomia di imprese di fase, da cui uscivano semilavorati in piccola serie che altre imprese, a loro volta, rifinivano, assemblavano, commercializzavano. Accanto all espansione dei grandi gruppi si assiste così ad una moltiplicazione delle imprese di minori dimensioni, che pongono talora le premesse per la nascita di sistemi locali specializzati (distretti). Ne sono un esempio il calzaturiero, dove le numerose botteghe lasciano il posto a laboratori e piccole fabbriche, che vede in soli dieci anni raddoppiata la propria capacità produttiva; similmente il comparto mobiliero, quello della meccanica legata alla produzione di cicli e motocicli, quello alimentare e quello degli elettrodomestici, vero e proprio simbolo del miracolo economico. È importante notare che negli anni del boom non si assiste solo ad una crescita del numero delle piccole imprese ma anche all ampliamento di alcune di esse che raggiungono livelli dimensionali medi e rilevanza a livello nazionale; i protagonisti della crescita di queste piccole imprese sono imprenditori innovatori determinati e geniali, che quasi sempre provengono dal mondo dell artigianato. Determinante in questi percorsi di rapida ascesa imprenditoriale è l aver imboccato con decisione la via della crescita, dell elevata capacità produttiva e delle forti economie di scala investendo in impianti, ingrandendo gli stabilimenti esistenti oppure costruendone di nuovi. In breve tempo aziende di modeste dimensioni, magari poco più che laboratori artigiani, si trasformano in gruppi industriali di rilievo nazionale e, talvolta, internazionale con migliaia di dipendenti (vedi tabelle 1 e 2). Tabella 1 Classe addetti ,3 28,0 20, ,1 18,9 21, ,9 22,5 21,2 >200 33,7 30,6 36,8 Totale 100,0 100,0 100,0 Fonte: S.Brusco S.Paba, Per una storia dei distretti industriali italiani dal secondo dopoguerra agli anni Novanta, in F.Barca (a cura di), Storia del capitalismo italiano. Dal Dopoguerra ad oggi, Roma, Donzelli,

6 cap 01 libro finanza :22 Pagina 18 Cap. Primo Tabella 2 Raffronto internazionale addetti industria manifatturiera per classe dimensionale delle imprese (percentuali) Oltre Totale Italia Germania Regno Unito USA Italia Germania Regno Unito USA Fonte: M.Bellandi, Terza Italia e distretti industriali dopo la seconda guerra mondiale, in F.Amatori, D.Bigazzi, R.Giannetti, L.Segreto (a cura di), Storia d Italia, Annali, n.15, L Industria, Torino, Einaudi, Gli anni 50, tuttavia, vedono anche degli appuntamenti mancati dall industria italiana: se infatti le sfide poste dal settore automobilistico, siderurgico, degli elettrodomestici, dei mobili, alimentare erano raccolte con successo, diversamente accadeva per altre opportunità che avrebbero portato in caso di successo il nostro sistema economico al pari, se non al di sopra, di quello dei maggiori Paesi continentali: l energia (ENI), l elettronica (OLIVETTI), la chimica avanzata (MONTECATINI-EDISON). In questi settori il Paese non è stato in grado di emergere, vuoi per errate scelte politico-economiche vuoi per la mancanza di una managerialità sufficientemente esperta; l insuccesso di questi tre compartimenti, fondamentali per un paese industrializzato con obiettivi di rilancio e di primato, ha contribuito fortemente a modellare la fisionomia dell industria nazionale attorno alle industrie oggi dominanti del made in Italy, mentre il salto in una dimensione produttiva e tecnologica più avanzata e all avanguardia, mancato allora, non era destinato ad essere riproposto anche in seguito Gli anni Sessanta e Settanta: la fine dell espansione Il decennio successivo al boom economico fu caratterizzato dalle crescenti politiche di incentivo agli investimenti nelle regioni meridionali e dal lento 18

7 cap 01 libro finanza :22 Pagina 19 Le PMI Italiane: un quadro introduttivo ma inesorabile calo della domanda. Al termine degli anni sessanta, il sistema economico italiano raggiunse un grado di pubblicizzazione che nessun paese europeo conobbe, né avrebbe mai conosciuto, con il mercato ridotto a realtà residuale. La fase di maggior espansione del sistema delle partecipazioni statali coincise tuttavia con l inizio del declino del sistema stesso. L avvio della politica di intervento diretto nel Mezzogiorno provocò la creazione di impianti in aree del tutto prive delle necessarie infrastrutture, con conseguenti elevate diseconomie; così se da un lato aumentavano notevolmente la capacità produttiva e il numero di occupati, dall altro si impennavano i costi e la domanda cominciava ad essere inferiore all offerta. Tra la fine degli anni Sessanta e l avvio del decennio successivo vennero meno le condizioni grazie alle quali l economia italiana aveva attraversato una fase di crescita difficilmente eguagliabile. Sopraggiunsero così molteplici problemi: le tensioni sociali in aumento si riflessero in un costo del lavoro più alto, la conflittualità sindacale crebbe, la domanda diminuì, la stabilità monetaria internazionale crollò, l inflazione esplose. Il primo shock petrolifero (1973) colpì un sistema già in grave difficoltà: le imprese pubbliche furono così costrette a ricorrere sempre più ai fondi erogati dal Parlamento, con una conseguente perdita d indipendenza nei confronti del potere politico; le imprese private, ancora strettamente legate a una proprietà e a una gestione familiare, presentavano un bassissimo grado di managerialità e di diversificazione produttiva e una scarsa capacità di evoluzione strategico-organizzativa (continuavano ad essere assenti strutture organizzative di tipo divisionale e le dimensioni medie delle imprese erano ridotte). Ancora una volta nella situazione di difficoltà le imprese meno danneggiate furono quelle di piccole dimensioni, che in breve tempo riuscirono a diminuire la capacità produttiva e ad adattarsi al nuovo ciclo economico. Le imprese, che trovavano sempre più difficoltà nell adeguare i prezzi agli aumenti delle componenti fisse e variabili dei costi di produzione, affrontarono un periodo con redditività in diminuzione e quindi con sempre minore capacità di autofinanziamento e cercarono di porvi rimedio attraverso un crescente impiego della leva finanziaria e dell indebitamento bancario. Il concludersi della favorevole congiuntura del boom economico mise in luce più problemi del sistema economico italiano: su tutti il legame tra banca e impresa che si faceva sempre più stretto e la mancanza di imprenditorialità e managerialità che pervadeva tutto il grande capitalismo privato nazionale. controllare testo 19

8 cap 01 libro finanza :22 Pagina 20 Cap. Primo Gli anni Ottanta: la potenza economica americana Gli anni ottanta sono gli anni che celebrano il trionfo del mercato libero, il prevalere delle politiche economiche del liberalismo selvaggio, che ha i suoi massimi esponenti nei governi di Ronald Reagan negli Stati Uniti e di Margaret Thatcher in Gran Bretagna. Gli USA conoscono una crescita impressionante, che li porta ad essere l economia trainante del mondo. Nel 1989 crolla il mondo comunista; l evento simbolico più forte è la caduta del Muro di Berlino, ma cade anche tutta la cortina di ferro, e gli ex paesi comunisti iniziano un difficile percorso verso la democrazia. In Italia, sul piano economico, la scena è dominata dall inflazione, ormai arrivata sopra il 20%, da una pesante recessione internazionale e dal conseguente dilagare della disoccupazione. Le aziende ristrutturano e si rinnovano a ritmo accelerato, crescono le eccedenze di manodopera, la cassa integrazione diventa una costante del sistema delle grandi imprese. Nel frattempo cominciano a venire ad affiorare i problemi legati al debito pubblico crescente ed alla corruzione degli ambienti politici Gli anni Novanta: uno scenario complesso L ultimo decennio del XX secolo si apre, a livello internazionale, su scenari di guerra. Si comincia con la guerra del Golfo, si prosegue con l intervento dell ONU in Somalia e con le guerre civili nella ex Jugoslavia, ultima quella in Kosovo nel 1999 con l intervento della NATO. Il decennio si conclude con il dramma mediorientale: tra Israele e i palestinesi è ormai guerra aperta, il faticoso processo di pace pare definitivamente compromesso. Nell Europa occidentale avanza il processo di integrazione. Il 7 febbraio 1992 viene firmato il trattato di Maastricht: la vecchia Comunità europea (CEE) diventa Unione europea (UE), nella quale circolano liberamente merci, lavoro, risorse finanziarie. Il trattato fissa ai paesi membri le condizioni per l ingresso nell area della moneta comune, l Euro, che entrerà in funzione il 1 gennaio Nell economia mondiale regna la globalizzazione : l interdipendenza tra le economie è sempre più stretta, lo sviluppo delle tecnologie della comunicazione gonfia il ruolo degli scambi finanziari, minacciando la sovranità degli stati e approfondendo le disuguaglianze nel pianeta, sollevando ampi movimenti di protesta. L Europa, e ancor più l Italia, stentano a reggere il passo 20

9 cap 01 libro finanza :22 Pagina 21 Le PMI Italiane: un quadro introduttivo con l economia degli Stati Uniti che, sotto la presidenza Clinton, attraversano un forte periodo di crescita. In Europa la prima parte degli anni novanta è all insegna della stasi, solo nella seconda metà la locomotiva ricomincia a muoversi, anche se l Italia partecipa alla crescita in misura più rallentata. Ma la disoccupazione rimane sempre alta. In Italia, sul piano economico e sociale, dominano i problemi dei conti pubblici che pagano lo scotto di scelte politico-economiche errate e di un legame politica-industria sempre più penalizzante della crescita, dell occupazione e dello stato sociale. A prezzo di manovre economiche impopolari, i governi susseguitisi riescono ad avviare un lento risanamento e a rientrare nei parametri di Maastricht, cosicché il nostro Paese è tra i primi a far parte dell area Euro. Verso la fine del decennio vi sono segnali di ripresa economica, ma la disoccupazione rimane alta anche se c è una modesta crescita dei posti di lavoro. Sul piano industriale è un epoca di rimescolamenti, soprattutto grazie ai processi di privatizzazione, sulla scia di una simile tendenza internazionale. I grandi monopoli pubblici passano in mani private e si cerca di sostituire alla logica dello Stato imprenditore quella della libera concorrenza e della gestione manageriale delle grandi imprese. L ideologia predominante diventa quella del libero mercato. Il decennio si conclude drasticamente con lo scoppio della bolla internet nel 2000: i mercati azionari crollano verticalmente e comincia una fase di stallo dell economia mondiale ed europea, ulteriormente penalizzata dagli attentati terroristici di matrice islamica dell 11 settembre L instabilità geopolitica prende il sopravvento a livello mondiale. Solo nel 2003 comincia ad esserci una leggera ripresa, trainata per l ennesima volta dagli Stati Uniti e dai paesi emergenti; l Europa è ancora costretta ad inseguire e, all interno di essa, l Italia si trova in posizione di rincalzo. 21

10 cap 01 libro finanza :22 Pagina 22 Cap. Primo 1.2 LA SITUAZIONE ECONOMICA ODIERNA DEL PAESE: IL RAPPORTO ANNUALE ISTAT La congiuntura economica nel 2003 La ripresa dell economia mondiale Nel 2003 si è conclusa la fase di sviluppo moderato dell economia internazionale che aveva caratterizzato il biennio e l attività ha ripreso a crescere a ritmo piuttosto sostenuto. Secondo le prime stime del Fondo monetario internazionale, il Pil mondiale è aumentato, in termini reali, del 2,7 per cento, con un significativo progresso rispetto all incremento dell 1,8 per cento registrato nel Anche la dinamica del commercio internazionale, già in recupero nel 2002, ha manifestato una ulteriore accentuazione. L accelerazione della crescita aggregata ha beneficiato del progressivo rafforzamento della ripresa negli Stati Uniti e dell emergere di un netto recupero dell economia giapponese. Un rallentamento si è manifestato per le economie dinamiche dell Asia, colpite dagli effetti dell emergenza sanitaria della Sars, mentre si è accentuata l espansione delle economie in via di sviluppo, in particolare Cina (cresciuta di oltre il 9 per cento), India e Russia. Anche nel complesso dei nuovi paesi membri dell Ue (Npm) la crescita ha segnato un rafforzamento, raggiungendo nel 2003 il 3,6 per cento. Il ciclo internazionale ha mantenuto uno sviluppo incerto ancora nella parte iniziale del 2003, risentendo tra l altro delle tensioni geopolitiche conseguenti alla crisi irachena. La ripresa è poi divenuta più intensa nel corso dell estate e si è consolidata negli ultimi mesi dell anno, anche grazie alla forte accelerazione dell economia statunitense, robusta fin dall inizio del La ridotta crescita dell Uem In questo quadro la principale eccezione è costituita dall Uem: il ritmo annuo di sviluppo, già modesto nel 2002 (0,9 per cento), si è ulteriormente attenuato nel 2003 (0,4 per cento), anche se nella seconda parte dell anno ha segnato un lieve recupero. Il ristagno è derivato, in primo luogo, dalla debolezza 1 Fonte ISTAT, Rapporto annuale 2003, Sintesi - Progettare nella prospettiva europea: nuove opportunità di sviluppo 22

11 cap 01 libro finanza :22 Pagina 23 Le PMI Italiane: un quadro introduttivo della domanda interna. I consumi delle famiglie sono cresciuti dell 1 per cento in media d anno, ma hanno registrato un andamento stagnante a partire dal secondo trimestre, risentendo dell elevato grado di incertezza delle aspettative dei consumatori. La dinamica degli investimenti è rimasta negativa (-1,2 per cento) anche se in misura meno marcata rispetto al 2002 (-2,8 per cento); la discesa si è progressivamente attenuata nel corso dell anno, con una prima inversione di tendenza nel quarto trimestre. La crescita del Pil è stata ulteriormente frenata dall evoluzione sfavorevole degli scambi con l estero: le esportazioni nette hanno sottratto alla crescita 0,5 punti percentuali. L apprezzamento dell euro ha favorito, per un verso, l assorbimento di offerta estera, dando luogo a una significativa crescita delle importazioni e, per altro verso, ha penalizzato le esportazioni, rimaste stazionarie. Nonostante la crescita modesta del prodotto, l occupazione è aumentata dello 0,1 per cento e il tasso di disoccupazione ha cessato di aumentare a partire dalla primavera. Gli indicatori relativi ai primi mesi del 2004 segnalano la prosecuzione di una fase di moderato recupero; anche l indicatore del clima di fiducia dei consumatori pur restando su livelli relativamente bassi ha continuato a registrare un lento miglioramento. L inflazione dell Uem è stata alimentata da spinte di origine interna, solo in parte compensate dall effetto moderatore dell apprezzamento del cambio. La stagnazione dell economia italiana La fase di stagnazione dell economia italiana, iniziata nella seconda parte del 2001 e influenzata dalla sfavorevole congiuntura mondiale del 2002, è proseguita nel 2003: il tasso di crescita del Pil, pari allo 0,4 per cento nel 2002, è stato l anno successivo dello 0,3 per cento. Tuttavia il rallentamento è stato minore che nel resto dell Uem e quindi il differenziale negativo di sviluppo rispetto alla media dell area si è quasi azzerato, scendendo da 0,5 punti percentuali nel 2002 a 0,1 nel I fattori del rallentamento La modestissima crescita dell attività economica nel 2003 è stata il risultato di un contributo positivo (pari a 1,2 punti percentuali) delle componenti interne della domanda (al lordo della variazione delle scorte) cui ha continuato a contrapporsi un apporto negativo delle esportazioni nette (0,9 punti percentuali). I consumi delle famiglie sono cresciuti in media dell 1,3 per 23

12 cap 01 libro finanza :22 Pagina 24 Cap. Primo cento, segnando tuttavia una perdita di dinamismo nel corso dell anno. L incremento è stato leggermente inferiore a quello del reddito disponibile che, in termini reali, è aumentato nel 2003 dell 1,5 per cento, con un rafforzamento della crescita rispetto all anno precedente. I comportamenti di spesa delle famiglie sono stati ancora orientati alla cautela (la propensione media al consumo è scesa dall 87,5 per cento del 2002 all 87,3). I consumi collettivi hanno proseguito l espansione a un ritmo superiore a quelli privati, registrando nell anno un aumento del 2,2 per cento. La diminuzione degli investimenti Un aspetto particolarmente sfavorevole dell evoluzione dell economia italiana nel 2003 è costituito dalla dinamica negativa del processo di accumulazione. Dopo aver segnato un incremento contenuto nel 2002, gli investimenti fissi lordi sono diminuiti lo scorso anno del 2,1 per cento in termini reali, il peggior risultato dal La flessione delle spese per beni di investimento è stata maggiore di quella registrata nella zona euro dove, tuttavia, la tendenza negativa si era manifestata già nel 2002 con intensità ancor più accentuata. La contrazione della spesa di investimento è stata particolarmente intensa per la componente dei mezzi di trasporto, ma è risultata significativa anche per quella delle macchine e attrezzature (-4 per cento). L inversione del ciclo dell accumulazione è da attribuire, verosimilmente, all incertezza sull andamento dell economia e all eccesso di capacità produttiva determinato dal protrarsi della stagnazione. Solo la componente delle costruzioni ha mantenuto nel 2003 una tendenza espansiva (+1,8 per cento nel complesso dell anno). La riduzione degli scambi con l estero Nel nostro Paese la riduzione del saldo in volume degli scambi con l estero è stata maggiore di quella manifestatasi nella media dell Uem. Le esportazioni di beni e servizi, già diminuite in misura marcata nel 2002, hanno subito lo scorso anno una contrazione del 3,9 per cento: la tendenza strutturale alla perdita di quote di mercato, dovuta anche alla ridotta competitività di prezzo, è stata accentuata dall effetto penalizzante dell apprezzamento dell euro. Nello stesso tempo le importazioni totali, frenate dalla caduta degli investimenti, sono diminuite dello 0,6 per cento. Il calo delle esportazioni italiane di merci è stato più accentuato sui mercati dei paesi dell Ue15, ma anche i flussi extra-ue hanno subito una riduzione significativa. Il saldo attivo della 24

13 cap 01 libro finanza :22 Pagina 25 Le PMI Italiane: un quadro introduttivo bilancia commerciale ha segnato un ulteriore e più consistente riduzione, risentendo sia di un ampliamento del disavanzo nei confronti dei paesi Ue15, sia di un ridimensionamento dell attivo verso i paesi extra-ue. Nei primi mesi del 2004 si è assistito comunque a una ripresa di entrambi i flussi dell interscambio, più marcata per le esportazioni. La flessione della produzione industriale Nel 2003 il rallentamento dell attività ha riguardato tutti i principali settori, a eccezione dell industria delle costruzioni. Sono risultate in flessione l attività produttiva del comparto agricolo, in forte caduta per il quarto anno consecutivo, e, in misura più contenuta, quella dell industria in senso stretto. Anche la crescita dei servizi, già in marcato rallentamento nel 2002, si è ulteriormente indebolita. L indice della produzione industriale ha registrato, a parità di giorni lavorativi, una nuova flessione (-0,4 per cento rispetto al 2002). L evoluzione più recente dell indice segnala la prosecuzione della fase di stagnazione, con qualche evidenza di ripresa nella produzione dei beni di consumo e in alcuni specifici settori (industrie del legno, della carta e dei prodotti in metallo). La crescita occupazionale Il persistere della tendenza al ristagno dell attività produttiva ha determinato un progressivo indebolimento della crescita del volume di lavoro assorbito dal sistema economico: nelle valutazioni di contabilità nazionale, si è registrato nel 2003 un aumento dell input di lavoro dello 0,4 per cento e in base all indagine sulle forze di lavoro il numero delle persone occupate è aumentato dell 1,0 per cento. Ciò è in gran parte attribuibile all aumento degli occupati nelle classi di età anni. A tale risultato hanno concorso sia fattori demografici sia gli effetti del graduale innalzamento dei requisiti di età e di contribuzione per l accesso alle pensioni di vecchiaia o di anzianità. Il 75 per cento dell aumento dell occupazione dipendente registrato nel 2003 ha riguardato posizioni a tempo indeterminato e orario pieno. La tendenza all aumento del tasso di occupazione è proseguita, seppure con intensità inferiore che negli anni precedenti: nel 2003 il 56 per cento della popolazione tra 15 e 64 anni è risultata occupata. Nel complesso la crescita degli occupati è stata superiore a quella dell offerta, rendendo possibile un ulteriore riduzione del numero delle persone in cerca di occupazione. Il tasso di disoccupazione, pari all 8,7 per cento nella media del 25

14 cap 01 libro finanza :22 Pagina 26 Cap. Primo 2003, ha mantenuto una tendenza discendente anche nella seconda parte dell anno, portandosi per la prima volta al di sotto della media dell Uem (anche l incidenza della componente di lunga durata della disoccupazione è scesa dal 59 per cento del 2002 al 57 per cento). La moderata accelerazione delle retribuzioni La dinamica salariale ha segnato nel 2003 una moderata accelerazione, quale risultante di andamenti molto differenziati fra i settori. A livello di intera economia, le retribuzioni medie lorde per unità di lavoro, misurate nell ambito dei conti nazionali, sono aumentate del 3,2 per cento; in termini reali, l incremento è stato dello 0,7 per cento. Le retribuzioni pro capite hanno segnato una marcata accelerazione nella sanità, nell istruzione e nella pubblica amministrazione e un leggero rafforzamento della dinamica nell industria in senso stretto. In alcuni settori (soprattutto nell ambito dei servizi), si è registrata una diminuzione delle retribuzioni in termini reali. Nel corso del 2003 l inflazione è rimasta relativamente elevata, segnando una tendenza al rallentamento solo negli ultimi mesi dell anno. L indice dei prezzi al consumo è aumentato, in media d anno, del 2,7 per cento, di 0,2 punti superiore a quello del Il differenziale rispetto al tasso di inflazione medio del resto dei paesi dell Uem si è allargato, salendo da 0,4 punti percentuali nel 2002 a 0,9 punti nella media dello scorso anno. Il divario è diminuito alla fine del 2003, ma è tornato ad ampliarsi nei primi tre mesi del 2004, in conseguenza di una discesa dell inflazione meno veloce in Italia che nella media degli altri paesi dell area. La dinamica dei prezzi L evoluzione dei prezzi al consumo è stata caratterizzata da una forte inerzia e la decelerazione si è manifestata, con intensità molto limitata, soltanto nella seconda parte dell anno. I prezzi dei servizi e quelli dei beni di largo consumo hanno mantenuto dinamiche relativamente elevate, con notevoli differenziazioni all interno dei comparti e aumenti rilevanti per alcuni beni e servizi, incidendo in modo consistente sui bilanci di alcuni gruppi di famiglie. La fase di discesa dell inflazione si è attestata nei primi mesi del 2004 a un tasso tendenziale del 2,3 per cento. La recente impennata del prezzo del petrolio può però mettere a rischio la prosecuzione di tale tendenza. 26

15 cap 01 libro finanza :22 Pagina 27 Le PMI Italiane: un quadro introduttivo La stabilità dell indebitamento pubblico Nel quadro del sensibile peggioramento degli indicatori di finanza pubblica manifestatosi a livello europeo, il nostro Paese ha presentato nel 2003 un valore dell indebitamento netto in rapporto al Pil (deficit/pil) pari al 2,4 per cento, superiore di un solo decimale al risultato del Sia le uscite che le entrate delle amministrazioni pubbliche hanno registrato un forte aumento (rispettivamente del 5,8 e del 5,5 per cento). Il miglioramento del rapporto debito pubblico/pil Con la notevole riduzione registrata dall incidenza dello stock complessivo del debito pubblico sul Pil (106,2 per cento nel 2003 rispetto al 108,0 per cento del 2002), l Italia ha compiuto un ulteriore passo avanti nel percorso fissato in sede di programma di stabilità. L incidenza del debito pubblico sul Pil dell Italia rimane comunque la più alta tra quelle dei paesi europei. La pressione fiscale è salita in Italia dal 41,9 per cento del Pil del 2002 al 42,8 per cento nel 2003, esclusivamente per effetto dei citati provvedimenti di sanatoria fiscale; al netto delle sanatorie la pressione risulterebbe pari al 41,3 per cento (41,8 nel 2002). La media Uem si è attestata al 42 per cento del Pil, in leggero aumento rispetto al 2002 (41,8 per cento). Condividiamo con l Europa a 15 la stagnazione dell economia (sia pure con qualche timido segnale di ripresa), la difficile situazione dei conti pubblici, e diversi vincoli strutturali. In questo quadro, l elemento nuovo sono i problemi e le opportunità dell allargamento a L allargamento dell Unione europea Ue25: la prima area del mondo per dimensione economica Dal 1 maggio 2004, l Unione europea ha dieci nuovi paesi membri. Con l allargamento, l Unione europea a 25 paesi raggiunge i 455 milioni di abitanti (75 milioni in più) e diventa la prima area per dimensione economica del mondo, con una produzione pari al 21 per cento del Pil. Le disparità all interno dell area, tuttavia, aumentano. I nuovi paesi membri, che pure stanno attraversando una fase di intensa ristrutturazione produttiva, in termini sia di ammodernamento tecnologico sia di ricomposizione settoriale, 27

16 cap 01 libro finanza :22 Pagina 28 Cap. Primo presentano profonde differenze strutturali rispetto all Ue15, in termini sia economici sia demografico-sociali. Essi hanno ancora nel 2001, in media, una struttura produttiva caratterizzata da una elevata quota di occupati in agricoltura (oltre il 13 per cento contro il 4 per cento dell Ue15), a fronte di un peso relativamente basso nei servizi. Il Pil pro capite medio dei Npm è circa il 49 per cento della media Ue15. Restano ampi, finora, anche i divari in termini di produttività, che si associano a differenze ancora più marcate riguardo ai principali indicatori del mercato del lavoro. Le disparità regionali nell Ue25 Uno dei problemi principali dell Europa allargata, che interessa direttamente anche il nostro Paese, è pertanto l inasprimento delle disparità tra paesi e regioni. Le sfide per l integrazione e la convergenza di economie così diverse sono certamente più difficili e richiedono impegni forti di politiche economiche e sociali. Per quanto riguarda l Italia, occorre in particolare rilevare che, mentre nel precedente assetto le regioni più povere dell Unione si collocavano prevalentemente nelle aree periferiche dell Europa meridionale (incluse gran parte delle regioni del Sud del nostro Paese), con l allargamento l asse si sposta verso l Europa orientale. Ciò è all ordine del giorno delle politiche regionali e comporterà la modifica quadro delle zone beneficiarie dei Fondi strutturali. Ci si attende l uscita dalle aree dell Obiettivo 1 di alcune nostre regioni, ma il problema è di rilievo e più delicato di quanto si pensi, in quanto dall analisi dei principali indicatori socioeconomici emerge per le nostre regioni meridionali, che pure hanno conseguito miglioramenti, qualche segnale di debolezza anche nei confronti dei Npm La competitività del sistema delle imprese Gli aspetti critici del sistema produttivo italiano Spesso negli anni passati si è messo in luce come gli snodi critici della competitività dell Italia riguardassero la polverizzazione dimensionale del sistema delle imprese, il modello italiano di specializzazione e il rallentamento della dinamica della produttività. I problemi di performance del nostro apparato produttivo sono senz altro da porre in relazione alle sue caratteristiche strutturali. Nel 2002 le imprese ita- 28

17 cap 01 libro finanza :22 Pagina 29 Le PMI Italiane: un quadro introduttivo liane dell industria e dei servizi erano oltre 4,3 milioni di unità (oltre 100 mila in più rispetto al 2000), con un occupazione complessiva di oltre 16 milioni di addetti (600 mila in più rispetto al 2000). L incremento di occupazione realizzato negli ultimi anni non ha modificato la struttura dimensionale dell apparato produttivo. La dimensione media è sostanzialmente stabile nel corso degli anni e pari a 3,7 addetti per impresa per il totale dei settori, a 8,7 per il settore manifatturiero, a 2,9 per le costruzioni e a 3,0 (leggermente in crescita) per il commercio e servizi: viene dunque sostanzialmente confermata la polverizzazione della struttura produttiva italiana. La caratterizzazione dimensionale è ulteriormente accentuata dall elevato livello di terziarizzazione (il settore dei servizi vede aumentare il proprio peso, in termini di addetti, dal 57,8 al 59,2 per cento). La relazione tra concentrazione e redditività delle imprese I dati sui conti delle imprese confermano l importanza della dimensione d impresa e della concentrazione settoriale nel determinare la performance complessiva del sistema produttivo. I differenziali di produttività del lavoro a sfavore delle microimprese e di quelle con addetti sono consistenti, anche se vi sono segnali di convergenza nella redditività delle imprese. Per altro verso, il livello e la dinamica della redditività delle imprese sono connessi soprattutto al grado di concentrazione dei singoli comparti di attività economica. Dove la concentrazione era elevata, la redditività delle imprese leader è fortemente cresciuta tra il 1998 e il 2001 e ne ha beneficiato anche l intero settore. Il ruolo di traino delle imprese leader non ha invece caratterizzato i comparti a media concentrazione: dove questa è diminuita, la redditività è calata sia per le imprese leader, sia nella media di settore; dove essa è aumentata, solo le imprese leader ne hanno beneficiato. La bassa diversificazione geografica e merceologica dell export Tra gli operatori all esportazione si rilevano differenti comportamenti in termini di diversificazione per prodotti e mercati di sbocco. Il 40 per cento è presente in un numero limitato di mercati (meno di sei), mostrando così scarsa capacità di diversificazione geografica e forte dipendenza commerciale da pochi paesi. Combinando l analisi per prodotti con quella per mercati, il 60 per cento degli operatori realizza un modesto grado complessivo di diversifi- 29

18 cap 01 libro finanza :22 Pagina 30 Cap. Primo cazione, destinando le vendite di un numero limitato di prodotti a un esiguo numero di mercati (in entrambi i casi meno di dieci). Una quota di poco superiore al 10 per cento realizza un grado elevato di diversificazione, tanto per i prodotti quanto per i mercati. Il grado di diversificazione per mercati di sbocco favorisce la permanenza degli operatori sui mercati internazionali: quelli maggiormente diversificati raggiungono tassi di persistenza compresi tra l 80 e l 85 per cento. Il nucleo forte delle imprese esportatrici L analisi della performance delle imprese sempre esportatrici nel periodo , realizzata su un panel di quasi 30 mila società di capitale, mostra la loro capacità di realizzare processi di crescita virtuosi e di combinare positive performance a livello di impresa con una notevole capacità di stimolo dell occupazione. Tra queste, sono a elevata intensità di export (due terzi del fatturato) e rappresentano il 30 per cento degli addetti e il 57 del volume di esportazioni delle imprese del panel; altre 15 mila sono a media intensità di export (40 per cento del fatturato) e rappresentano il 50 per cento degli addetti e il 40 delle esportazioni. La maggior parte delle imprese del panel ( su 30 mila) riescono a trarre profitto dalla presenza sui mercati esteri, anche grazie a un assetto economico e finanziario equilibrato e a una limitata esposizione commerciale verso le aree più a rischio di crisi internazionale; in questi raggruppamenti sono significativamente rappresentati alcuni settori forti del made in Italy: apparecchi meccanici, apparecchiature elettriche e ottiche, prodotti in metallo, abbigliamento e confezioni. Tuttavia, altri raggruppamenti che comprendono oltre 13 mila imprese presentano crescenti difficoltà a competere sui mercati internazionali, in termini sia di strategie commerciali sia di equilibri economico-finanziari interni; tra questi, invece, sono presenti molte imprese dei settori più tradizionali, quali alimentari, mobilio e calzature. Il diverso contributo dei fattori produttivi alla crescita Quanto, infine, al rallentamento della dinamica della produttività e ai fattori che determinano la crescita dell output, le analisi mettono in evidenza che si rafforzano ulteriormente i contributi alla crescita del fattore capitale e, limitatamente ai servizi, del fattore lavoro. Il contributo della produttività totale dei fattori continua invece a diminuire in tutti i principali settori di attività 30

19 cap 01 libro finanza :22 Pagina 31 Le PMI Italiane: un quadro introduttivo economica, segnalando la scarsa dinamicità del sistema produttivo italiano nel promuovere le proprie capacità di innovazione considerate in senso lato (processi, prodotti, mercati, forme organizzative). Gli effetti della scarsa produttività totale dei fattori La produttività totale dei fattori riflette un insieme vasto di fenomeni non direttamente misurabili: innovazioni nel processo produttivo, miglioramenti nell organizzazione del lavoro e nelle tecniche manageriali, miglioramenti nell esperienza e livello di istruzione raggiunto dalla forza lavoro, mutamenti nella composizione dei beni capitali utilizzati, nonché miglioramenti nella loro qualità, economie di scala, esternalità, riallocazione dei fattori verso utilizzi più produttivi. La sua scarsa dinamicità appare il principale responsabile del rallentamento del tasso di crescita registrato dall economia italiana a partire dalla seconda metà degli anni Novanta. La posizione critica dell Italia per spesa in R&S Il quadro della spesa per R&S in Italia si qualifica, nell ambito di una generale debolezza del sistema europeo, per ulteriori elementi critici in termini sia di livelli e dinamicità dell aggregato nel suo complesso, sia dei settori istituzionali che finanziano la spesa. A fronte di una incidenza media europea della spesa in R&S sul Pil pari al 2 per cento, i paesi che mostrano significativi differenziali negativi sono Grecia, Portogallo, Spagna e Italia (meno 0,9 punti percentuali rispetto alla media). La posizione dell Italia è dunque particolarmente critica, anche perché l intensità di R&S cresce meno che negli altri paesi: nel periodo è cresciuta al tasso medio annuo del 15 per cento in Grecia, del 4 per cento in Portogallo e Spagna e soltanto dello 0,5 per cento in Italia. Nel nostro Paese, inoltre, il deficit di spesa in R&S delle imprese è soltanto in parte compensato dai finanziamenti pubblici: le imprese attivano soltanto il 39 per cento della spesa, mentre il settore pubblico ne finanzia il 56 per cento. L Italia è dunque particolarmente lontana dagli ambiziosi obiettivi di Lisbona, secondo i quali i paesi dell Unione dovrebbero raggiungere entro il 2010 un incidenza della spesa per ricerca e sviluppo pari al 3 per cento del Pil, con una quota attivata dalle imprese pari ai due terzi. La R&S non è l unico modo di introdurre innovazione nei processi produttivi: anche gli investimenti in macchinari innovativi contribuiscono ad aggiornare i processi produttivi. L evoluzione delle principali componenti della spesa per investimenti fissi lordi nel periodo mostra, nonostante la significativa flessione registrata dalle macchine e attrezzature nell ultimo 31

20 cap 01 libro finanza :22 Pagina 32 Cap. Primo anno, una crescita reale superiore alla media per i tipi di beni più strettamente connessi ai processi di accumulazione e potenziale adozione di nuove tecnologie incorporate nel capitale fisico. Le macchine e attrezzature registrano una crescita reale pari al 42,3 per cento; i beni immateriali addirittura al 77,5, anche se la loro quota resta molto bassa. La debole spesa in innovazioni complesse di prodotto e di processo La propensione delle imprese italiane all innovazione di prodotto e di processo risulta ancora una volta influenzata negativamente dalla specializzazione settoriale e dal prevalere delle piccole dimensioni. Complessivamente, nel triennio fa innovazione di prodotto e/o di processo, tra le imprese con almeno 10 addetti, il 38 per cento di quelle dell industria (quota stabile rispetto al triennio precedente) ma soltanto il 17 di quelle dei servizi (quattro punti in meno del triennio precedente). La diffusione delle attività di innovazione tra le imprese con almeno 10 addetti tende a concentrarsi in specifici segmenti dimensionali e settoriali, senza segnali di recupero nel tempo. Nella manifattura una quota consistente delle imprese innovatrici (43,8 per cento) segue pattern di innovazione incrementale, con miglioramenti costanti ma limitati, ma con scarsa integrazione con attività di ricerca e bassa propensione alla cooperazione. Soltanto un terzo delle imprese innovatrici realizza forme di innovazione più complesse, che includono una significativa propensione a stringere accordi di collaborazione, a effettuare investimenti in R&S, ad affiancare alle innovazioni tecnologiche quelle manageriali, organizzative e di marketing. Nei servizi il gruppo con pattern di innovazione più consolidata e intensa copre il 31 per cento circa delle imprese innovatrici ed è formato prevalentemente da grandi e medie imprese che offrono servizi finanziari e assicurativi. Segnali più positivi emergono dai dati sull uso delle tecnologie dell informazione e comunicazione nelle imprese italiane. La loro diffusione tende a stabilizzarsi sui livelli già raggiunti dagli altri principali paesi dell Ue15, anche se permangono alcuni ritardi nelle microimprese. Il contributo delle imprese a controllo estero all economia italiana Apporti significativi al miglioramento della produttività del sistema delle imprese non sembrano invece derivare dalla presenza di imprese a controllo estero (circa 11 mila) per la prima volta esplorata nelle rilevazioni dell Istat che invece contribuisce significativamente ai principali aggregati economici: 7 per cento degli addetti, 14 del fatturato e 12 del valore aggiunto. Il 32 32

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