GESÙ E IL GIOVANE RICCO

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1 GESÙ E IL GIOVANE RICCO Martedì della Parola Lectio biblica su Luca 18,18-23 Caltanissetta Cappella Maggiore del Seminario 7 maggio Un notabile lo interrogò: «Maestro buono, che devo fare per ottenere la vita eterna?». 19 Gesù gli rispose: «Perché mi dici buono? Nessuno è buono, se non uno solo, Dio. 20 Tu conosci i comandamenti: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e tua madre». 21 Costui disse: «Tutto questo l ho osservato fin dalla mia giovinezza». 22 Udito ciò, Gesù gli disse: «Una cosa ancora ti manca: vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi». 23 Ma quegli, udite queste parole, divenne assai triste, perché era molto ricco. 1. Sguardo sinottico Cominciamo questa nostra lectio con uno sguardo sinottico ai tre vangeli che riportano l episodio: Matteo, Marco e Luca. Nel vangelo secondo Matteo il racconto si trova in un ampia sezione (Mt 19-25) che precede il racconto della Passione. Questa sezione è caratterizzata dal progressivo avvicinarsi di Gesù a Gerusalemme. A questo movimento geografico corrisponde un movimento in crescendo nella tensione tra Gesù e i capi dei giudei. Gesù percorre la valle del Giordano insieme ai discepoli diretto a Gerusalemme, dove completerà il suo dono all umanità in piena obbedienza al Padre. Protagonisti del racconto sono solo due: Gesù e l altro. Quest ultimo viene chiamato da Matteo e Marco un tale. Luca invece lo presenta come un notabile. Matteo lungo il racconto lo definisce il giovane. Tutti e tre gli evangelisti, a conclusione dell episodio, affermano: «Aveva molte ricchezze»; «Aveva molti beni»; «Era molto ricco». Si tratta dunque di un giovane ricco e nobile, di un uomo realizzato pienamente sotto tutti gli aspetti. Cosa può chiedere di più alla vita? Ha scritto Erich Fromm: «Se si chiede oggi alle persone che cosa le rende veramente felici, la risposta che sovente danno è potersi permettere tut- 306

2 Gesù e il giovane ricco to quello che desiderano. Il concetto più diffuso di felicità è che nel consumismo non solo è fondata la libertà ma anche la felicità, e l unica cosa che impedisce libertà e felicità è non avere abbastanza soldi per consumare tutto quello che si desidera consumare». Tuttavia la coscienza di questo giovane ricco e nobile permane ancora viva: si pone delle domande, intuisce che oltre la ricchezza deve esserci un altra via per raggiungere la felicità e la vita eterna. E parlando di lui Marco dice che «corse incontro» (a Gesù); Matteo che «gli si avvicinò». Luca non accenna a questo movimento. Poi Marco e Luca fanno dire al giovane: «Maestro buono»; invece nel vangelo secondo Matteo troviamo: «Cosa devo fare di buono». In tutti e tre i vangeli Gesù rinvia ai comandamenti e tutti e tre riportano la seconda parte di essi, quelli che riguardano i doveri verso il prossimo ma con delle particolarità. Marco aggiunge: «Non frodare»; Matteo aggiunge: «Ama il prossimo tuo come te stesso». I tre evangelisti riferiscono che il giovane ha sempre osservato questi precetti. Nel vangelo secondo Matteo è il giovane stesso che dice: «Che cosa mi manca ancora?»; mentre in Marco e Luca è Gesù che gli dice: «Una cosa ti manca». Tutti e tre riportano poi quasi le stesse richieste di Gesù: andare, vendere tutto, dare ai poveri per avere un tesoro in cielo, venire e seguire. Tutti e tre, infine, parlano della tristezza di questo giovane. Marco vi insiste di più, perché afferma: «Rattristatosi se ne andò afflitto». E il motivo della tristezza è uguale in tutti e tre: la ricchezza. Solo nel vangelo secondo Marco troviamo un particolare importantissimo, sul quale ci soffermeremo in questa lectio: «Gesù fissatolo lo amò». 2. Lo spazio degli altri Adesso soffermiamoci sul testo di Luca, che è stato proclamato dal diacono. Come abbiamo detto questo giovane ricco e nobile all inizio del racconto, secondo la versione di Marco, corse incontro (a Gesù). L inizio sembra molto promettente: c è una corsa, un desiderio, un atteggiamento di umiltà, parole piene di stima Tuttavia, nonostante le ottime premesse, è l unica storia di una chiamata che finisce con un netto insuccesso. Alla fine, infatti, divenne assai triste: il suo passo è pesante e il suo camminare è trascinato 307

3 ATTI DEL VESCOVO Lectio All inizio corre e sempre secondo Marco «si prostra in ginocchio» davanti a Gesù, riconoscendone non tanto l autorità quanto piuttosto la divinità perché «solo dinanzi a Dio ti prostrerai», come afferma anche Gesù nel deserto al diavolo tentatore. Questo tal giovane, che conosce bene la Legge, si prostra davanti a Gesù, riconoscendo in Lui non solo il profeta e il taumaturgo ma Dio stesso. Poi chiede: «Maestro buono, che cosa devo fare per ottenere la vita eterna?». Questa domanda racchiude tre elementi. Il primo è l appellativo: Maestro buono; il secondo è cosa devo fare; il terzo è lo scopo: ottenere la vita eterna. Maestro buono: essere buono è prerogativa di Dio. Nessuno può esserlo come Lui, in quanto l azione del peccato inquina la nostra umanità, anche se possiamo compiere le migliori azioni di questo mondo. Dio è buono in quanto semplicemente è ; noi possiamo solo diventarlo nella misura in cui Lui ce ne dà la grazia e nella misura in cui noi siamo capaci di accogliere la sua azione di grazia. Proprio per questo Gesù fa riferimento ai comandamenti: se vuoi essere buono devi seguire la Legge! E tuttavia con queste parole Gesù intende dire che nella vita eterna non si entra compiendo qualcosa, ma entrando in relazione di amore e di conoscenza con Colui che è buono (cfr. Gv 17,3). Osservare i comandamenti, a prescindere da Colui che è buono, sarebbe come ridurre la vita spirituale ad un manuale di istruzioni. Per questo Gesù corregge e dichiara: «Nessuno è buono, se non uno solo: Dio». Infatti, nulla può essere buono senza Colui che è la Bontà e la Bellezza. Che cosa devo fare: è una domanda frequente nei vangeli e diversi sono i personaggi che la pongono. Mentre predica e battezza, Giovanni Battista viene interrogato da tre diverse categorie di persone: le folle, i pubblicani e alcuni soldati; e tutti chiedono cosa fare, per capire cosa vuol dire concretamente convertirsi. Giovanni Battista, in tutti i casi, risponde sottolineando la seconda parte dei comandamenti. La sua risposta in sostanza è: tenete conto degli altri nella vostra vita. Infatti dice alle folle: «Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha e chi ha da mangiare faccia altrettanto», ovvero nessuno può essere felice da solo, cioè fate in modo che il vostro agire sia un offrire la felicità anche ad altri. Ai pubblicani, esattori delle tasse al sevizio del potere dominante, il Battista dice: «Non esigete nulla di 308

4 Gesù e il giovane ricco più di quanto vi è stato fissato». E ai soldati: «Non maltrattate, non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe». In entrambi i casi Giovanni afferma: «Non abusate del vostro potere, abbiate attenzione e rispetto per gli altri». Nel vangelo secondo Luca anche un dottore della Legge chiede a Gesù: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù risponde: «Cosa sta scritto nella Legge e come la interpreti?». E il dottore risponde egregiamente affermando: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutte le tue forze, con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso». E Gesù replica: «Fai questo e vivrai». Nel caso di questo giovane ricco e nobile la domanda ha una sfumatura diversa, perché per lui tutto si gioca in termini di fare per avere, cioè per possedere. Egli, infatti, in quanto ricco è abituato ad ottenere tutto comprandolo e pensa che con la ricchezza si possa comprare anche la vita eterna come se fosse un diritto, una ricompensa alle sue buone azioni. Il tema della vita eterna era frequente nelle discussioni rabbiniche. Era molto diffusa, in Israele, la mentalità che Dio ricompensava l uomo in base alle sue opere: ad ogni azione corrispondeva una risposta di Dio, sia nel bene che nel male. Infatti gli storpi, i ciechi, gli handicappati in genere erano considerati uomini o donne che si trovavano in tali condizioni perché avevano commesso delle cattive azioni o, se lo erano dalla nascita, era a causa dei peccati commessi dai loro genitori (cfr. Gv 9,1-2). Quindi il nostro amico chiede la ricetta per la vita eterna. Gesù risponde in un primo tempo secondo lo stile delle dispute rabbiniche: fare il bene è osservare la Legge. Cita però solo i comandamenti riguardanti i rapporti col prossimo e, nel vangelo secondo Matteo, conclude col testo di Levitico che ne riassume ed esplicita l anima: «Ama il prossimo tuo come te stesso» (Lv 19,18). É molto significativa la risposta di Gesù. Il giovane aveva chiesto cosa fare per ottenere la vita eterna. Voleva vivere accanto a Dio! Ma Gesù ricorda solo i comandamenti che dicono rispetto per la vita accanto al prossimo! Non menziona i tre primi comandamenti che definiscono la relazione con Dio. Secondo Gesù, staremo bene con Dio solo se sappiano stare bene con il prossimo. A nulla serve ingannarsi. La porta per giungere a Dio è il prossimo da amare come me stesso. 309

5 ATTI DEL VESCOVO Lectio Questo nostro amico, con grande entusiasmo, fa un esame di coscienza e risponde: «Tutto questo l ho osservato fin dalla mia giovinezza». Quindi si tratta di un bravo uomo, il quale non solo ha il desiderio della vita eterna ma ha sempre camminato secondo la Legge, non solo nei precetti che riguardano Dio ma anche in quelli che riguardano il prossimo. La storia potrebbe finire qua, potrebbe andarsene sereno e a testa alta. Matteo dice che è proprio lui a chiedere: «Che cosa mi manca ancora?». È molto ricco e ha tutto: la fede, l impegno concreto di amore verso gli altri E tuttavia sente che gli manca qualcosa, che qualcosa lo inquieta ed è o- nesto in questo, non acquieta la coscienza ma lascia emergere la sua inquietudine. Nel racconto di Marco e Luca è Gesù che invece di dirgli: «Bravo, vai in pace», inquieta il giovane affermando: «Una cosa sola ti manca». E non gli lascia neanche il tempo di chiedere quale, perché subito spiega la risposta. Ma prima, nel vangelo secondo Marco, Gesù compie un gesto ed esprime un sentimento. 3. Lo sguardo d amore «Allora Gesù, fissatolo, lo amò (emblèpsas egàpese)». Emblèpsas letteralmente significa avendo guardato dentro di lui. Gesù, dunque, non solo lo guarda negli occhi ma, attraverso gli occhi, gli legge dentro, gli legge il cuore. È un esperienza straordinaria! Quante volte abbiamo paura che gli altri ci leggano dentro e per questo abbassiamo lo sguardo o guardiamo da un altra parte? A volte accade anche fra marito e moglie Si ha paura di fare entrare lo sguardo dell altro nel proprio cuore Anche Gesù ha sperimentato questo sguardo che legge dentro e coglie il cuore dell altro oltre l apparenza. Nel quarto vangelo leggiamo che Giovanni Battista, quando vede passare Gesù lungo la riva del Giordano, «fissando lo sguardo su di lui disse: Ecco l Agnello di Dio» (Gv 1,34). Il Battista, leggendo dentro Gesù ne coglie la realtà invisibile, cioè l identità più profonda.e Gesù sente il brivido di essere conosciuto anche nel mistero del suo cuore e il giorno dopo, quando Andrea porta da Lui suo fratello Simone, Gesù «fissando lo sguardo su di lui, dice: Tu sei Simone, ti chiamerai Cefa» (Gv 1,40), che vuol dire roccia. Gesù, dunque, attraverso gli occhi, legge nel cuore di 310

6 Gesù e il giovane ricco Simon Pietro e a questo uomo fragile e debole che lo tradirà dice che nonostante tutto lui è una roccia. Nel terzo vangelo Pietro sperimenterà un altra volta questo sguardo di Gesù: subito dopo aver rinnegato per tre volte il Maestro nel cortile del Sommo Sacerdote, «il Signore, voltatosi, fissò lo sguardo su Pietro; e Pietro si ricordò delle parole del Signore e, uscito fuori, pianse amaramente» (Lc 22,61-62). Con quello sguardo Gesù non lo condanna, ma gli dichiara il suo amore, quasi a dire: «Io vado a morire per te che mi hai rinnegato». Il pianto di Pietro non è solo un pianto di pentimento, ma un pianto di riconoscimento. Pietro riconosce che, pur nei suoi tradimenti, è amato da Gesù. Anche il giovane ricco e nobile si sente guardato dentro e amato: egàpese viene dal verbo agapào, il verbo che definisce l identità di Dio: o Theòs agàpe estìn, Deus caritas est, Dio è Amore. Quindi Gesù lo guarda dentro e lo a- ma come solo Dio può amare, con la totalità dell Onnipotente Dio, con un a- more infinito, incondizionato e gratuito. Questo verbo dice amore totale, a- more che non attende e non pretende, si propone e non si impone. Pensiamo al brivido d amore sperimentato da questo giovane ricco e nobile abituato ad ottenere e a comprare tutto quello che voleva 4. Il cuore legato «Una cosa ancora ti manca». Un espressione simile la troviamo sempre nel vangelo secondo Luca (Lc 10,38-42) rivolta da Gesù all amica Marta, tutta affaccendata e lacerata fino allo spasimo: «Marta, Marta una sola cosa è necessaria, Maria ha scelto la parte buona», cioè stare con Gesù, farsi prossimo a Lui amandolo come Lui vuole essere amato. «Una cosa ancora ti manca»: questo nostro nobile amico possiede tanto, ma in realtà è posseduto dalle cose che possiede, è schiavo delle sue ricchezze e non ha un cuore libero. Avrà pure fatto tante cose belle anche verso gli altri, ma il suo cuore è legato a quello che ha: «Là dov è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21). Matteo racconta la parabola di un uomo che mentre lavorava in un campo trova un tesoro e allora va, vende tutto quello che ha e compra quel cam- 311

7 ATTI DEL VESCOVO Lectio po perché lì c è il suo tesoro; racconta anche la parabola di un mercante di gioielli che cercava una perla davvero preziosa e quando la trova vende tutti i suoi beni per comprare quella perla, perché ha trovato il tesoro che il suo cuore cercava da sempre e, dinanzi a quella perla preziosa, tutto il resto è solo un nulla (Mt 13,44-46). Là dov è il tuo tesoro sarà anche il tuo cuore La felicità vera nessuna moneta può comprarla e noi abbiamo sete di questa felicità che non si compra, ma si accoglie e si conquista. «Vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli. Poi vieni e seguimi»: arricchirsi presso Dio significa saper dare. Uno ha solo se dà e dona nella gratuità assoluta, perché i poveri non possono ricambiare. Essere povero come e con Gesù significa seguirlo, perché si vive la povertà non fine a se stessa ma come premessa di libertà per scegliere Cristo Gesù, la perla preziosa per la quale bisogna essere disposti a rinunciare a tutto, perché si è trovato il Tutto. 5. La fine della speranza «Ma quegli, udite queste parole, divenne assai triste, perché era molto ricco». È davvero un uomo dal cuore legato, un possessore dal cuore posseduto! L uomo, anche se non vuole ammetterlo in alcun modo, serve sempre e adora sempre qualcuno o qualcosa: è essenzialmente feticista! Detto in altre parole, ha sempre qualcosa che assorbe tutta la sua esistenza, come cura, ossia preoccupazione ultima del suo agire. Questo è il suo peccato contro Dio la sua idolatria che gli fa porre come valore supremo un idolo che lo tiene nella sua morte, perché non è il Dio dei vivi. La verità è che il ricorso continuo a ciò che abbiamo ci impedisce alla fine di essere e di vivere. Come morti viventi ci seppelliamo letteralmente nella logica del possesso. E così finiamo col cadere nella più grossa delle bugie, cioè che più possediamo più siamo liberi e indipendenti. E non ci rendiamo conto che così diventiamo servi prezzolati del possesso, schiavi dominati dall angoscia. Alla fine, niente ci pesa di più che rinunciare ad una cosa qualunque Per vivere abbiamo bisogno di una sensazione di sicurezza. Ma più ci organizziamo nella sicurezza di questo mondo, più ci risulterà evidente che nei confronti della morte non esiste sicurezza. L unica cosa che ci resta è quel- 312

8 Gesù e il giovane ricco lo che noi siamo Perché la felicità sta nella povertà che soltanto Dio ci può dare: essa è un dono, non una prestazione morale La scelta della povertà non è primariamente frutto di ascesi, ma puro dono di Dio: è frutto dell essere presso Dio. L uomo non è mai tanto lontano dal Regno di Dio come quando pretende di possedere titoli per entrarci «Ma quegli, udite queste parole, divenne assai triste, perché era molto ricco»: l abbraccio di Gesù è troppo stretto, troppo esigente. E l uomo si divincola: è arrivato alla soglia di una nuova tappa della sua vita ma non ha il coraggio di varcarla. In fondo non può bastare la religiosità che già vive? Ma questa tristezza se la porterà dentro fino a quando perdurerà l attaccamento ai suoi beni, fino a quando non deciderà dove sta il suo vero tesoro La risposta di Gesù ha lasciato il segno. Il giovane ricco e nobile credeva di essere a posto con i comandamenti. Ma Gesù gli ha svelato la verità: non è possibile amare Dio se si ama il denaro, perché «nessuno può servire due padroni: o odierà l uno e amerà l altro oppure si affezionerà all uno e disprezzerà l altro» (Lc 16,13). Ma che tipo di tristezza vive questo giovane? Il termine usato nel vangelo è skytropòs, rabbuiato, ripiegato, abbattuto, con il volto incapace di guardare il cielo. Il termine skytropòs lo troviamo in Gen 3 applicato a Caino quando decide di uccidere il fratello Abele. E Dio lo interroga dicendo: «Perché è skytropòs il tuo volto? Il peccato è accovacciato alla tua porta, ma tu puoi dominarlo». Lo stesso termine torna alla fine del vangelo secondo Luca, nell episodio dei due discepoli di Emmaus i quali, incontrando lo straniero Gesù che li interroga, «si fermarono col volto skytropòs, rabbuiato» (Lc 24,17), perché avevano ucciso nel loro cuore la speranza. Anche questo giovane se ne va triste, perché ha ucciso nel suo cuore la speranza, la gioia, la libertà, la vita per sempre. Continuerà a fare le sue pratiche religiose e ad osservare i comandamenti, ma ora nulla più è come prima. La tristezza è entrata nel suo cuore: ora sa di essere l assassino della sua felicità e di aver rifiutato l unico che lo ama per se stesso: il Signore Gesù. Se fino a poco prima si era illuso di condurre una vita esemplare, dopo l incontro con Gesù le sue illusioni sono cadute, ma ha pure capito che se a- 313

9 ATTI DEL VESCOVO Lectio vesse voluto la sua vita avrebbe potuto essere completamente diversa. In quel momento tutto era nelle sue mani! Ma non riesce a capire che la felicità dipende non dal possesso ma dal dono, che il cuore pieno dipende non dai beni ma dai volti, che la sicurezza non sta nel possesso ma nel dono. E per tutta la vita resterà così: onesto e triste, osservante e rabbuiato. Quanti cristiani sono come lui: onesti e infelici. Osservano tutti i comandamenti, ma non hanno la gioia perchè lo fanno per avere e non per essere, lo fanno come dentro un universo carcerario dove quasi tutto è proibito e il resto è obbligatorio 314

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