CONCILIO VATICANO II

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1 CONCILIO VATICANO II 1. IL PROGRAMMA E GLI OBIETTIVI Il 25 gennaio 1959 Giovanni XXIII annuncia la prossima convocazione di un "Concilio ecumenico per la Chiesa universale" provocando non poca sorpresa: non solo da quasi un secolo non veniva convocato un concilio generale ma da più parti si riteneva che la proclamazione del dogma dell'infallibilità pontificia, avvenuta nel 1870 ad opera del Concilio Vaticano I, avesse reso queste assise meno necessarie e utili alla vita della Chiesa di quanto lo fossero per il passato. Le ragioni che avevano indotto il pontefice a questa decisione si trovano chiaramente enunciate nella costituzione "Humanae salutis", con cui il 25 dicembre 1961, dopo un intenso lavoro di preparazione, viene convocato il Concilio ecumenico Vaticano II. A giudizio di Giovanni XXIII, di fronte alla crisi della società, la Chiesa è chiamata a compiti di gravità ed ampiezza non inferiori a quelli che ha dovuto affrontare nelle epoche più tragiche della sua storia, in quanto deve mettere a contatto con il Vangelo il mondo moderno in cui, al grande progresso materiale dovuto alle conquiste della scienza e della tecnica non corrisponde un eguale avanzamento in campo morale, dove, anzi, si manifestano preoccupanti fenomeni. Questa dolorosa constatazione non intacca la fiducia del pontefice che, per rispondere ai "segni dei tempi" offerti dalla indigenza spirituale del mondo e dalla vitalità della Chiesa, ritiene urgente convocare il concilio per dare a quest'ultima la possibilità di contribuire più efficacemente alla soluzione dei problemi della società moderna. Tale finalità ispira il grandioso programma del concilio che dovrà occuparsi dei problemi dottrinali e pratici corrispondenti all'esigenza di una perfetta conformità della Chiesa all'insegnamento di Cristo e cioè la Scrittura, la Tradizione, i sacramenti, la preghiera, la disciplina ecclesiastica, le attività caritative e assistenziali, l'apostolato dei laici, gli orizzonti missionari preoccupandosi anche specificamente dell'influsso che l'ordine soprannaturale deve esercitare su quello temporale in modo che le deliberazioni conciliari investano di nuova luce non solo l'intimo delle coscienze ma anche tutta la massa delle umane attività (cfr. Costituzione apostolica "Humanae salutis", 25 dicembre 1961). 1

2 2. LE COSTITUZIONI, I DECRETI E LE DICHIARAZIONI I lavori del concilio, a cui partecipano circa 2500 "padri" (vescovi, prelati ad essi equiparati, superiori generali dei religiosi) giunti da ogni parte del mondo, hanno inizio l'11 ottobre 1962 e si articolano in quattro periodi che vanno, rispettivamente, dall'11 ottobre all'8 dicembre 1962, dal 29 settembre al 4 dicembre 1963, dal 14 settembre al 21 novembre 1964, dal 14 settembre all'8 dicembre In tale giorno il Concilio Vaticano II che tra il primo e il secondo periodo aveva subito una breve interruzione a causa della morte di Giovanni XXIII viene dichiarato concluso da Paolo VI. I documenti conciliari promulgati, per ordine del pon-tefice, via via che vengono approvati dai padri, mediante la pubblicazione sugli "Acta Apostolicae Sedis" sono sedici e precisamente quattro costituzioni, nove decreti e tre dichiarazioni. Benché a questi termini non corrisponda un significato rigorosamente definito in iure, la denominazione appare ispirarsi ad alcuni criteri di massima: mentre le constitutiones hanno un carattere eminentemente dottrinale oppure contengono deliberazioni di cui si è voluta sottolineare la particolare importanza, i decreta, pur non mancando di esposizioni dottrinali di varia ampiezza, riguardano soprattutto le applicazioni pratiche e le declarationes risultano atti concernenti questioni specifiche, affrontate sotto il profilo sia dottrinale che pastorale, ai quali il concilio non ha ritenuto opportuno conferire la solennità propria delle costituzioni (LO CASTRO, G, [12], 237 ss, in partic ). Nel quadro di un sintetico accenno agli argomenti trattati nei documenti conciliari che si proponga di indicare i temi più significativi dal punto di vista giuridico, occorre ricordare innanzitutto la costituzione dogmatica "Lumen gentium" che, illustrando la struttura della Chiesa, enuncia la dottrina della sacramentalità e collegialità dell'episcopato e afferma la vera eguaglianza di tutti i fedeli, e quindi anche dei laici, riguardo alla dignità e alla azione comune. L'altra costituzione dogmatica, "Dei Verbum", è dedicata alla divina rivelazione e definisce il significato e il valore della Scrittura e della Tradizione che costituiscono fonti di cognizione del diritto divino positivo, mentre la costituzione "Sacrosanctum Concilium" che non è qualificata da alcun aggettivo stabilisce i principi generali della riforma liturgica, innovando profondamente la disciplina vigente. Di singolare importanza, poi, per la dottrina riguardante le relazioni tra Chiesa e comunità politiche e l'istituto matrimoniale la costituzione "Gaudium et spes" sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Tra i nove decreti l'"inter mirifica" si occupa dei mezzi di comunicazione sociale, sottolineandone l'incidenza nella vita moderna ed enunciando diritti e doveri dei fedeli e dei pastori d'anime in questo campo; l'"unitatis redintegratio" affronta il problema ecumenico cioè il ristabilimento dell'unità tra i cristiani, con un 2

3 atteggiamento particolarmente aperto e disponibile; l"'orientalium Ecclesiarum" riguarda le Chiese orientali cattoliche che ottengono una considerazione e un apprezzamento della loro specificità ben maggiori di quelli precedenti; l'"ad gentes" riconosce nelle missioni un'attività essenziale alla Chiesa che impegna la responsabilità di tutti i vescovi, stabilendo nuovi principi generali e disposizioni specifiche per l'intera disciplina delle missioni. Particolare rilevanza dal punto di vista giuridico riveste il decreto "Christus Dominus", che tratta dell'ufficio dei vescovi nei confronti della Chiesa sia universale sia particolare, formulando nel terzo capitolo la prima disciplina di diritto comune delle conferenze episcopali a cui viene riconosciuta, sia pure in termini ancora molto limitati, vera e propria potestà legislativa. Due decreti sono dedicati ai sacerdoti e precisamente l'"optatam totius", che innova l'impostazione e i criteri della loro formazione investendo l'ordinamento dei seminari, e il "Presbyterorum ordinis", che, oltre a definire la natura e le funzioni del loro ministero, affronta anche problemi molto concreti, come la distribuzione del clero, le questioni relative alla sua sussistenza, assistenza e previdenza, l'istituzione in ogni diocesi del consiglio presbiterale; mentre il decreto "Perfectae caritatis" traccia le linee per il rinnovamento della vita religiosa. Infine il decreto "Apostolicam actuositatem" tratta dell'apostolato dei laici nella società contemporanea alla luce di quei principi di valorizzazione del laicato che si trovano già enunciati nella costituzione dogmatica "Lumen gentium". Quanto alle tematiche delle dichiarazioni, mentre la "Gravissimum educationis" richiama i principi fondamentali sulla educazione cristiana, soffermandosi sulle scuole, università e facoltà cattoliche, la "Nostra aetate" che si occupa delle relazioni della Chiesa con le confessioni non cristiane dopo aver sottolineato la necessità di dialogo e collaborazione con buddisti, induisti e mussulmani, insistendo sulla mutua conoscenza e stima con gli ebrei, condanna come contraria alla volontà di Cristo qualsiasi discriminazione e persecuzione perpetrata tra gli uomini per motivi di razza, colore, condizione sociale o religione. Al problema della libertà religiosa è poi interamente dedicata la "Dignitatis humanae" che rivendica a tutti gli esseri umani libertà psicologica e immunità da coercizioni esterne nella ricerca della verità. L'interpretazione autentica di tutti questi documenti è dapprima affidata alla Commissione centrale per il coordinamento dei lavori post-conciliari e per l'interpretazione dei decreti del Vaticano II e, successivamente, alla Commissione per l'interpretazione dei decreti del concilio. Infine con il motu proprio "Recognito iuris canonici Codice" del 2 gennaio 1984 questa competenza viene attribuita alla Commissione per l'interpretazione autentica del Codice stesso. 3

4 È stata pure disposta la pubblicazione, ormai da tempo completata, degli atti del periodo antepreparatorio e preparatorio e dei verbali integrali delle congregazioni conciliari, consentendo così agli operatori e agli studiosi di rendersi direttamente conto del processo di formazione delle singole deliberazioni. 3. IL PROBLEMA DELLA QUALIFICAZIONE GIURIDICA DELLE DELIBERAZIONI CONCILIARI Per riconoscimento unanime degli osservatori di ogni tendenza il Vaticano II ha determinato un profondo rinnovamento "sia nei costumi che nella disciplina ecclesiastica e anche nel modo di esporre la dottrina" (v. Decreto "Unitatis redintegratio", n. 6) e, nella prospettiva della Chiesa cattolica, costituisce un solido ponte tra il passato e il futuro. La sua caratteristica saliente sotto il profilo giuridico è l'aver allargato l'orizzonte dell'ordinamento canonico fino ad allora esclusivamente preoccupato della propria difesa di fronte agli ordinamenti religiosi e civili stabilendo come caposaldo irrinunciabile la tutela dei diritti fondamentali della persona umana. Peraltro il Vaticano II pone al canonista un complessa problema che riguarda la natura delle deliberazioni conciliari di fronte al diritto canonico fino ad allora vigente. Occorre premettere che, come hanno sostenuto vari autori (cfr. per tutti D'AVACK, P.A., Trattato di diritto canonico, Milano, 1980, 4-6 e 69 ss.; v. anche GISMONDI, P. [11], 35-37), l'ordinamento della Chiesa è un ordinamento giuridico, per cui la nota principale cui deve tendere la scienza canonistica è quella stessa raggiunta dalla scienza laica, "una costruzione completa e armonica di tale ordinamento che ne offra il sistema, mostrandone i programmi particolari in organica connessione tra loro e con principi generali ai quali l'intero sistema si informa e che appunto da questa opera scientifica debbono essere individuati" (cfr. GIACCHI, O., Diritto canonico e dogmatica giuridica moderna, in Chiesa e Stato nell'esperienza giuridica, I, Milano, 1981, 71). Per parte mia confermo dal punto di vista metodologico quanto ho già sostenuto circa l'impossibilità di studiare il fenomeno giuridico senza tenere presenti le ragioni che lo hanno determinato. Per quanto poi specificamente concerne l'ordinamento della Chiesa è necessario costantemente ricordare come il suo diritto umano sia condizionato dai principi di diritto divino, sia naturale sia positivo. Ma tutto questo non esclude che le norme emanate dalla Chiesa debbano essere studiate con il metodo proprio degli ordinamenti giuridici, dato che anche in diritto canonico distingue i principi giuridici dai principi morali. 4

5 Gli atti conciliari non solo sono stati denominati con termini (costituzioni e decreti) che indicano la legge canonica ma sono stati anche approvati, decretati, stabiliti e promulgati dal pontefice con una formula che non ammette equivoci: "tutte e singole le cose stabilite in questo decreto piacquero ai padri. E noi con la apostolica potestà conferitaci da Cristo, unitamente ai venerabili Padri, nello Spirito Santo le approviamo, le decretiamo e stabiliamo ciò che è stato sinodalmente decretato, comandiamo che sia promulgato a gloria di Dio". Particolare degno di attenzione è che tale formula sia stata inserita anche nella promulgazione delle dichiarazioni sulla libertà religiosa, sulle relazioni con le religioni non cristiane e sulla educazione cristiana, nonostante tali deliberazioni non si presentino formalmente come atti legislativi. Le norme conciliari, in quanto approvate dal collegio episcopale e dal pontefice, sono da collocarsi al primo posto nella gerarchia delle fonti "umane" del diritto canonico. Ciò vale in quanto contengano veri e propri comandi giuridici e, a questo proposito, occorre distinguere la forza vincolante e il contenuto delle singole disposizioni conciliari. Si pensi, ad esempio, al diverso valore normativo della costituzione dogmatica "Lumen gentium" rispetto alla costituzione pastorale "Gaudium et spes". E stato obiettato dal Petroncelli che la pubblicazione di questi documenti negli "Acta Apostolicae Sedis" "nulla dice", poiché "l'inserzione non muta la natura dei singoli atti che (...) non hanno valore vincolante dal punto di vista giuridico". Lo stesso Autore, peraltro, subito dopo riconosce che i documenti conciliari "anche quando obbligano in coscienza ad un determinato credo, se costituiscono il punto di riferimento di altre disposizioni, non sempre si traducono in norme giuridiche" (cfr. PETRONCELLI, M., Il diritto canonico dopo il Concilio Vaticano Il, Napoli, 1969, 22). Affermazione dalla quale emerge che, sia pure in alcuni casi, le deliberazioni conciliari hanno valore normativo. Interessanti e costruttive sono apparse le osservazioni del Rahner che dopo aver posto l'accento sulla differenza tra la costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo e le altre costituzioni e decreti conciliari, "manifestazioni del magistero ecclesiastico di natura dottrinale" avverte come la citata costituzione "non ha tutta quella validità super temporale e quella obbligatorietà generale, che competono, sia pure in gradi diversi, ad una dichiarazione del magistero ecclesiastico". La conclusione cui giunge questo Autore è che dalla menzionata costituzione pastorale si possono dedurre insegnamenti particolari più ristretti, nel senso che il documento non impegna con 5

6 "suprema autorità" (RAHNER, K., La problematica teologica di una costituzione pastorale. La Chiesa nel mondo contemporaneo, 2 a ed., Brescia, 1967, 61 ss.). Ma è evidente che se si esclude l'obbligatorietà per i documenti espressamente definiti come "pastorali", la si deve ammettere per quelli che non sono stati così qualificati e soprattutto per le costituzioni dogmatiche "Lumen gentium" e "Dei Verbum". In ogni caso non si deve sottovalutare la difficoltà del problema proposto, anche se la maggior parte dei principi conciliari tendono a tipizzarsi in vere e proprie direttive. Si può, quindi, ritenere che le disposizioni del Vaticano II siano atti legislativi di indirizzo, di direzione e di guida, a cui si sono attenuti i compilatori del nuovo Codex iuris canonici. E, del resto, nel decreto "Christus Dominus", riguardante l'ufficio pastorale dei vescovi, è espressamente previsto che "nella revisione del codice di diritto canonico siano definite adeguate leggi a norma dei principi stabiliti in questo decreto e tenendo presenti anche le osservazioni avanzate dalle Commissioni e dai Padri conciliari" (decreto "Christus Dominus", n. 44). Non sembra esatta la tesi che nel diritto della Chiesa le norme direttive, benché formalmente enunciate, si limitino a creare solamente l'obbligo per il futuro legislatore di "tenerle presenti e di non discostarsene senza un motivo plausibile". Nella direttiva è in realtà contenuta una valutazione che ha carattere di generalità nel senso che la scelta di obiettivi che la caratterizza concorre a qualificare l'ordinamento pur se necessita di successive puntualizzazioni (cfr. D'ALBERGO, S., Direttiva, in Enc. Dir., XII, Milano, 1964, 604). L'efficacia di tali norme è differita fino a quando non siano state emanate le leggi subordinate, ma quando si tratti di principi di diritto divino, sia positivo sia naturale, che contrastano con leggi preesistenti o successive, l'efficacia invalidante è immediata. Ne segue che le disposizioni conciliari si distinguono in norme "a efficacia immediata" e norme "a efficacia differita", ma all'infuori dei principi di diritto divino non si può parlare, nell'ordinamento canonico, di norme formalmente sovraordinate. Peraltro, dal punto di vista funzionale, le disposizioni conciliari appartengono alla categoria delle così dette "norme principio". Le "norme principio" conciliari assolvono ai seguenti compiti: a) funzione programmatica che fissa le linee direttrici del futuro sviluppo dell'ordinamento canonico che nella sua evoluzione deve risultare coerente ai principi fissati dal Vaticano II; b) funzione abrogatrice rispetto alle norme anteriori che risultassero in insanabile contrasto; c) criterio di interpretazione ed integrazione delle disposizioni anteriori e successive. 6

7 4. LA LEGISLAZIONE POSTCONCILIARE Alla conclusione del concilio ha fatto seguito una intensissima attività legislativa da parte della Santa Sede diretta sia ad emanare le necessarie norme di attuazione delle decisioni conciliari sia a introdurre nell'ordinamento canonico quelle riforme che erano richieste dallo "spirito" del Vaticano II e dalle nuove esigenze che si presentavano. Tra i numerosissimi provvedimenti assunti si possono ricordare l'istituzione, avvenuta pochi mesi prima della conclusione del concilio, del Sinodo dei vescovi, che riunisce i rappresentanti dell'episcopato mondiale e viene consultato dal pontefice sui più complessi problemi relativi al governo della Chiesa (motu proprio "Apostolica sollicitudo", 15 settembre 1965); le norme relative alle facoltà di dispensa dei vescovi (motu proprio "De episcoporum muneribus", 15 giugno 1966); le disposizioni di applicazione di alcuni decreti conciliari emanate con il motu proprio "Ecclesiae Sanctae" (6 agosto 1966); la restaurazione del diaconato permanente nella Chiesa latina che rende accessibile questo grado dell'ordine sacro anche alle persone coniugate, secondo quanto già previsto dalla costituzione "Lumen gentium" (motu proprio "Sacrum diaconatus ordinem", 18 giugno 1967); il riordinamento della Curia romana operato con la costituzione "Regimini Ecclesiae universae" (15 agosto 1967); la nuova disciplina relativa alle funzioni dei legati pontifici disposta con il motu proprio "Sollicitudo omnium Ecclesiarum" (24 giugno 1969); le innovazioni alla normativa dei matrimoni tra cattolici e battezzati appartenenti ad altre confessioni cristiane (motu proprio "Matrimonia mixta", 31 marzo 1970); le norme che privano i cardinali ultraottuagenari del diritto di eleggere il pontefice e della qualità di membri dei dicasteri della Curia romana (motu proprio "Ingravescentem aetatem", 21 novembre 1970); lo snellimento delle procedure dei processi matrimoniali disposto con il motu proprio "Causas matrimoniales" (28 marzo 1971); la nuova disciplina della prima tonsura, degli ordini minori e del suddiaconato sancita con il motu proprio "Ministeria quaedam" (15 agosto 1972); le disposizioni circa la vacanza della sede apostolica e l'elezione del pontefice contenute nella costituzione "Romano Pontifici eligendo" (1 ottobre 1975). L'attuazione del concilio ha incontrato non pochi problemi e difficoltà sì che Giovanni Paolo II nel discorso programmatico del suo pontificato ha dichiarato di considerare "un compito primario quello di promuovere, con azione prudente e insieme stimolante, la più esatta esecuzione delle norme e degli orientamenti del concilio", avvertendo che essa "potrà interessare più settori; da quello missionario a quello ecumenico, da quello disciplinare a quello organizzativo", ma dovrà soprattutto riguardare l'ecclesiologia. A tale 7

8 proposito il pontefice ha sottolineato la necessità di "riprendere in mano la 'magna charta' conciliare, che è la costituzione dogmatica 'Lumen gentium' per una rinnovata e corroborante meditazione sulla natura e sulla funzione, sul modo di essere e di operare della Chiesa". 5. DAL CONCILIO AL CODICE Tra i vari strumenti messi in opera per la realizzazione di tale programma Giovanni Paolo II mostra di attribuire una particolare importanza al nuovo Codice di diritto canonico. Infatti il pontefice, nella costituzione di promulgazione "Sacrae disciplinae leges" (25 gennaio 1983), non solo afferma che "ciò che costituisce la 'novità' fondamentale" del concilio "costituisce altresì la 'novità' del nuovo Codice", ma si preoccupa anche di ricordare i più significativi insegnamenti conciliari a cui quest'ultimo ha inteso ispirarsi: "la dottrina, secondo la quale la Chiesa viene presentata come il popolo di Dio e l'autorità gerarchica viene proposta come servizio; la dottrina per cui la Chiesa è vista come 'comunione' e che, quindi, determina le relazioni che devono intercorrere fra le Chiese particolari e quella universale, e fra la collegialità e il primato; la dottrina, inoltre, per la quale tutti i membri del popolo di Dio, nel modo proprio a ciascuno, sono partecipi del triplice ufficio di Cristo: sacerdotale, profetico e regale. A questa dottrina si riconnette anche quella che riguarda i doveri e i diritti dei fedeli, e particolarmente dei laici; e, finalmente, l'impegno che la Chiesa deve porre nell'ecumenismo". In questo contesto viene data una particolare attenzione alla "nota della collegialità, che caratterizza e distingue il processo di origine del presente Codice", "non soltanto per il suo contenuto, ma già anche nel suo primo inizio". Si ricorda, infatti, come tutti i vescovi siano stati invitati a prestare la loro collaborazione in modo che "con un metodo per quanto possibile collegiale, maturassero, a poco a poco, le formule giuridiche che in seguito dovevano servire per l'uso di tutta quanta la Chiesa". Questo passo della costituzione presenta notevole interesse in quanto, mentre ricorda le modalità della "revisione" della legislazione precedente, sembra indicare la dinamica ideale della formazione della legge canonica, soprattutto universale, che non può scaturire improvvisamente dalla volontà individuale e imperativa del supremo legislatore, ma deve costruirsi gradualmente nella esperienza della Chiesa secondo una logica di comunione. In questa prospettiva il Codice viene presentato come una precisa espressione della collegialità: il pontefice, proprio mentre ne sottolinea il carattere "primaziale" in quanto legislazione promulgata dall'autorità pontificia, si dichiara consapevole che esso "nel suo oggettivo contenuto, rispecchia la sollecitudine collegiale" 8

9 dell'intero episcopato mondiale. Di più: "per una certa analogia con il Concilio, deve essere considerato come il frutto di una collaborazione collegiale". Si avverta che questa ripetuta affermazione del "carattere di complementarietà" che il nuovo Codice presenta sotto diversi aspetti in relazione agli insegnamenti del Vaticano II non si riduce a una mera dichiarazione di intenzioni o a una astratta enunciazione di principio. Essa, invece, importa precise conseguenze, anche di carattere propriamente giuridico, nella interpretazione e nella attuazione dello stesso Codice. Dal momento che la normativa in esso sancita ha, per dichiarazione della suprema autorità, la sua ratio generale nella immagine conciliare della Chiesa, in questa stessa immagine deve trovare sempre, per quanto possibile, il suo essenziale punto di riferimento. E tale regola interpretativa viene accuratamente specificata da Giovanni Paolo II nel suo discorso del 3 febbraio 1983 con la raccomandazione di leggere il Codice in parallelo con il concilio, curando quella "collazione esegetica e critica dei rispettivi paragrafi e canoni", che potrà essere facilitata da una edizione ufficiale del Codice che rechi anche l'indicazione delle fonti. La stessa regola interpretativa si trova, del resto, codificata, sia pure in forma non totalmente esplicita, nel can. 204, 1 che, all'inizio del libro del Codice dedicato al popolo di Dio, definisce i fedeli come "coloro che essendo stati incorporati a Cristo per mezzo del battesimo, sono stati costituiti in popolo di Dio e, resi così partecipi a loro modo dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, sono chiamati ad esercitare, ciascuno secondo la sua condizione, la missione che Dio ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo". Questa formulazione di notevole complessità e di evidente spessore teologico può lasciare sconcertati per la sua sinteticità che non consente né una limpida esposizione né una chiara comprensione delle diverse affermazioni in essa contenute. In realtà la norma in questione ha la sola funzione di rinviare a una serie di insegnamenti del Vaticano II che vengono specificamente richiamati: il battesimo come incorporazione a Cristo, la Chiesa come popolo di Dio, la partecipazione di tutti i fedeli agli uffici di Cristo, l'universale missione di salvezza affidata alla Chiesa, la responsabilità che compete a tutti i cristiani nella sua realizzazione. Il Codice non può, quindi, essere adeguatamente valutato e correttamente interpretato se viene considerato, secondo l'ideologia propria delle codificazioni civili, come un testo normativo autonomo, completo ed esauriente. Esso, invece, deve essere collocato "accanto" al "Libro contenente gli Atti del Concilio" in "un abbinamento ben valido e significativo" che vede "questi due libri, elaborati dalla Chiesa del secolo XX", integrarsi 9

10 vicendevolmente in una unità armonica e complementare. E, si avverta, nel discorso del 3 febbraio 1983 il pontefice non si limita a queste pur significative affermazioni, ma, allargando decisamente i termini del discorso, ricorda come sopra e "prima di questi due libri" "è da porre, quale vertice di trascendente eminenza, il Libro eterno della parola di Dio, di cui centro e cuore è il Vangelo". Viene così a tracciare "come un ideale triangolo": in alto c'è la Sacra Scrittura, da un lato, gli Atti del Vaticano II e, dall'altro, il nuovo Codice di diritto canonico". Il Codice del 1983 può dunque essere considerato come il Codice del Vaticano II. E a questo proposito va sottolineato, tra le "novità" del Codice, che per la prima volta nella storia della Chiesa un concilio ecumenico è posto alla base di una riforma organica e globale di tutta la legislazione precedente. E questo avvenimento risulta ancor più singolare se si considera che il Vaticano II aveva evitato di sintetizzare le sue enunciazioni in "canones" che stabilissero i relativi precetti e sanzioni, in ossequio a una scelta precisa che intendeva privilegiare la "pastoralità" sulla "giuridicità". Si può qui riconoscere una chiara conferma della stretta relazione che intercorre tra disciplina canonica e azione pastorale: ogni significativa evoluzione di quest'ultima non può non importare un adegua. mento della normativa. 6. FONTI NORMATIVE Delle deliberazioni conciliari esistono, oltre alla edizione ufficiale (Sacrosanctum Oecumenicum Concilium Vaticanum II. Constitutiones decreta declarationes, Typis Polyglottis Vaticanis, 1966), diverse edizioni private tra le, quali è da segnalare l' Enchiridion Vaticanum, I, Documenti del Concilio Vaticano II, 10 a ed. Bologna, 1976 che a. fronte del testo latino reca la traduzione italiana. Gli atti del periodo antepreparatorio e preparatorio così come i verbali delle congregazioni conciliari sono pubblicati in Acta et documenta Concilio Oecumenico Vaticano II apparando e in Acta Synodalia Sacrosancti Concilii Oecumenici Vaticani II, Typis Polyglottis Vaticanis, rispettivamente e Tutti i documenti e i discorsi pontifici citati, così come le stesse deliberazioni conciliari sono pubblicati in A.A.S. 7. BIBLIOGRAFIA Una organica esposizione dei lavori del Vaticano II si trova in [1] CAPRILE, G., Il Concilio Vaticano Il, Roma, , mentre la consultazione delle deliberazioni conciliari è 0

11 facilitata da [2] OCHOA, X., Index verborum cum documentis Concilii Vaticani secundi, Romae, 1967 e da [3] DELHAYE, PH.-GUERET, M.-TOMBEUR, P., Concilium Vaticanum II, Concordance, Index, Listes de fréquence, Tables comparatives, Louvain, Tra i vari commenti ai documenti conciliari vedi, in particolare, quelli pubblicati nella collana [4] Unam Sanctam, Paris, Du Cerf, dal In lingua italiana vedi [5] AA.VV., La Chiesa del Vaticano Il. Studi e commenti intorno alla Costituzione dommatica "Lumen gentium", a cura di G. Baraúna, 3 a ed., Firenze, 1967 e [6] AA.VV., La Chiesa nel mondo d'oggi. Studi e commenti intorno alla Costituzione pastora-le "Gaudium et spes", a cura di G. Baraúna, 2 a ed., Firenze, 1967; [7] PHILIPS, G., La Chiesa e il suo mistero nel Concilio Vaticano Il. Storia, testo e commento della costituzione Lumen gentium, 2 a rist., Milano, 1982; [8] FAGIOLO, V., Perfectae caritatis. Decreto sul rinnovamento della vita religiosa, Casale Monferrato, Per una valutazione critica della legislazione post-conciliare (raccolta in Enchiridion Vaticanum, voll. 2 ss., Documenti ufficiali della Santa Sede, Bologna, 1966 ss.) vedi [9] SCHMITZ, H., Tendenze della legislazione postconciliare nel diritto costituzionale, in Communio, novembre-, dicembre 1977, e [10] MANZANARES, J., Diez años de legislación postconciliar, in Dir. Eccl., 1978, pt. I, Circa i profili più specificamente giuridici vedi [11] GISMONDI, P., Il diritto della Chiesa dopo il Concilio, rist., Milano, 1973; [12] LO CASTRO, G., La qualificazione giuridica delle deliberazioni conciliari nelle fonti di diritto canonico, Milano, 1970; [13] BEYER, J., Dal Concilio al Codice, Bologna, PIETRO GISMONDI GIORGIO FELICIANI(*) (*) Il paragrafo 3 della voce è dovuto allo scomparso prof. P. Gismondi al quale era stata affidata la voce stessa e che non ebbe il tempo di completarla. In tale paragrafo sono stati raccolti i testi che l'illustre studioso aveva predisposto in vista della redazione della voce Concilio Vaticano II. 1

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