Applicazioni del calcolo differenziale allo studio delle funzioni

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1 Capitolo Crescenza e decrescenza in piccolo; massimi e minimi relativi Sia y = f(x) una funzione definita nell intervallo A; su di essa non facciamo, per ora, alcuna particolare ipotesi (né di continuità, né di derivabilità). Sia poi x 0 A, 0 un arbitrario incremento di x 0 su A. Si dice che la f(x) è crescente [decrescente] nel punto x 0 se esiste un numero positivo σ tale che, per ogni incremento che abbia valore assoluto minore di σ, il corrispondente incremento y della funzione risulti dello stesso segno di [di segno opposto a ]. In altre parole, dire che y = f(x) è crescente nel punto x 0 significa che esiste un σ > 0 tale da aversi y > 0 per 0 < < σ; (9.1) dire che y = f(x) è decrescente nel punto x 0 significa che esiste un σ > 0 tale da aversi y < 0 per 0 < < σ. (9.2) Si noti che questo concetto di crescenza (o decrescenza) in un punto è un concetto in piccolo ed è distinto da quello già noto di crescenza (o decrescenza) in un intervallo che invece è un concetto in grande. Si dice che la f(x) ha in x 0 un punto di massimo relativo [minimo relativo] se esiste un numero positivo σ tale che, per ogni incremento che abbia valore assoluto minore di σ, il corrispondente incremento y della funzione risulti sempre non positivo [non negativo]. In altre parole, dire che x 0 è un punto di massimo relativo significa che esiste un σ > 0 tale da aversi y 0 per 0 < < σ; (9.3) dire che x 0 è un punto di minimo relativo significa che esiste un σ > 0 tale da aversi Se in luogo della (9.3) vale la condizione più restrittiva y 0 per 0 < < σ. (9.4) y < 0 per 0 < < σ; (9.5) si dice che x 0 è un punto di massimo relativo proprio; analogamente, se in luogo della (9.4) sussiste la y > 0 per 0 < < σ. (9.6) si dice che x 0 è un punto di minimo relativo proprio. 85

2 Capitolo 9. Anche questi concetti sono in piccolo, perché riguardano soltanto i valori assunti dalla funzione in un opportuno intorno del punto x 0 ; essi non vanno confusi con i concetti di massimo o minimo assoluto nell intervallo A, che sono concetti in grande, perché si riferiscono ai valori della funzione in tutto A. Aggiungendo ora l ipotesi che la funzione f(x) sia derivabile nel punto x 0 che si considera, si ottengono i due seguenti importanti risultati. 9.1.I Se nel punto x 0 A la f(x) è derivabile ed è f (x 0 ) > 0 [f (x 0 ) < 0], allora la funzione è crescente in x 0 [decrescente in x 0 ]. 9.1.II Il punto x 0 A sia per la f(x) di massimo o di minimo relativo. Allora, se x 0 è interno all intrvallo A e se in x 0 la f(x) è derivabile, si ha necessariamente f (x 0 ) = 0. Queste due proposizioni risultano intuitive da un punto di vista geometrico. La 9.1.I dice che se nel punto del grafico corrispondente a x 0 esiste la tangente (non parallela all asse y) e questa sale verso destra [verso sinistra], allora la funzione è crecente [decrescente] nel punto x 0. La 9.1.II afferma che, se x 0 è un punto di massimo o di minimo relativo interno ad A e se nel corrispondente punto del grafico esiste la tangente, questa è necessariamente parallela all asse x; si osservi che è essenziale che x 0 sia interno ad A, perché se è ad un estremo non è detto affatto che nel punto corrispondente del grafico la tangente risulti parallela all asse x. Diamo ora altri importanti risultati relativi a funzioni definite in un intervallo chiuso e limitato [a, b], che siano in esso continue e derivabili in ogni punto interno. 9.1.III (Teorema di Rolle) Sia f(x) continua in [a, b] e derivabile in ogni punto interno all intervallo stesso. Se la f(x) assume valori uguali negli estremi dell intervallo, se cioè f(a) = f(b), allora esiste almeno un punto ξ (a, b) in cui la derivata della f(x) è nulla. 9.1.IV (Teorema di Cauchy) Siano f(x), g(x) continue in [a, b] e derivabili in ogni punto interno; Sia inoltre sempre g (x) 0 in (a, b). Allora esiste almeno un punto ξ (a, b) tale da aversi f(b) f(a) g(b) g(a) = f (ξ) g (ξ). (9.7) 9.1.V (Teorema di Lagrange) Se f(x) è continua in [a, b] e derivabile in ogni punto interno, esiste almeno un punto ξ (a, b) tale da aversi f(b) f(a) = (b a)f (ξ). (9.8) Il teorema di Lagrange che è un caso particolare del teorema di Cauchy e comprende, come caso particolare, il teorema di Rolle ha un notevole significato geometrico. La (9.8) esprime infatti che, considerando il grafico della f(x) in [a, b], esiste almeno un punto C (di ascissa ξ) di tale grafico in cui la tangente (di coefficiente angolare f (ξ)) risulta parallela al segmento che unisce i punti A = (a, f(a)) e B = (b, f(b)). Una notevole conseguenza del teorema di Lagrange è la seguente: 86

3 9.2. Concavità e convessità in piccolo; punti di flesso 9.1.VI Se la f(x) è continua in [a, b], derivabile in ogni punto interno, con derivata sempre nulla, allora f(x) è costante in tale intervallo. A questa proposizione si può anche dare la forma seguente: 9.1.VII Se f(x), g(x) sono continue in [a, b], derivabili in ogni punto interno ed è sempre f (x) = g (x), le due funzioni differiscono per una costante. 9.2 Concavità e convessità in piccolo; punti di flesso Sia y = f(x) una funzione derivabile in un dato intervallo A, x 0 un punto interno ad A e un incremento di x 0 su A. Indichiamo con t 0 la retta tangente al grafico della funzione in quel suo punto P 0 che ha ascissa x 0. Può allora accadere che, nelle vicinanze del punto P 0, i punti del grafico distinti da P 0 siano situati al di sopra della tangente t 0, come pure può accadere che, nelle vicinanze di P 0, tali punti siano situati al di sotto di t 0. Nel primo caso si dice che nel punto P 0 la curva y = f(x) volge la concavità verso l alto (oppure la convessità verso il basso); nel secondo caso si dice che in tale punto essa volge la concavità verso il basso (la convessità verso l alto). Poiché l ordinata del punto P del grafico corrispondente all ascissa x 0 + vale f(x 0 ) + y e quella del punto Q della tangente t 0 corrispondente alla stessa ascissa vale f(x 0 ) + dy, il primo punto starà al di sopra del secondo se y > dy, starà al di sotto se y < dy. Tenendo poi conto che richiediamo soltanto che una di queste proprietà valga nelle vicinanze di P 0, cioè per abbastanza piccolo, possiamo esprimere in modo preciso i precedenti concetti con la definizione seguente: si dice che nel punto P 0 la curva di equazione y = f(x) volge la concavità verso l alto se esiste un σ > 0 tale che per 0 < < σ risulti sempre > 0 (9.9) si dice che nel punto P 0 la curva di equazione y = f(x) volge la concavità verso il basso se esiste un σ > 0 tale che per 0 < < σ risulti sempre < 0 (9.10) Si dice che il punto P 0 è un punto di flesso della curva di equazione y = f(x) se in tale punto la curva attraversa la tangente t 0, nel senso che, per valori di x minori di x 0 e prossimi ad esso, si hanno punti del grafico situati da una parte di t 0, mentre, per valori di x maggiori di x 0 e prossimi ad esso, si hanno punti del grafico situati dall altra parte di t 0. Potremmo dire che il grafico passa dal di sotto al di sopra della tangente, oppure dal di sopra al di sotto, ma è meglio includere anche il caso in cui il grafico possa avere, sia a sinistra che a destra di x 0, punti in comune con t 0 e dire pertanto che il grafico è dapprima non al di sopra di t 0 e poi non al di sotto, oppure prima non al di sotto e poi non al di sopra di t 0. 87

4 Capitolo 9. Poiché il fatto che il grafico non sia al di sopra di t 0 si traduce nella y dy ed il fatto che non sia al di sotto equivale alla y dy, possiamo dire che, supposto abbastanza piccolo, si ha nel primo caso 0 se < 0, 0 se > 0 e quindi sempre e nel secondo 0 0 se < 0, 0 se > 0 e quindi sempre 0. Ciò ci conduce alla seguente precisa definizione: si dice che il punto x 0 è punto di flesso della curva y = f(x) se esiste un σ > 0 tale che per 0 < < σ il rapporto ()/ non assuma mai valori di segno opposto, ossia se risulta sempre 0 oppure 0. (9.11) Se in luogo delle (9.11) si hanno le disuguaglianze in senso stretto, cioè se per 0 < < σ si ha sempre > 0 oppure < 0, (9.12) si dice che P 0 è un punto di flesso proprio. Valgono i seguenti risultati: 9.2.I Se la derivata f (x) è crescente [decrescente] nel punto x 0, allora la curva y = f(x) volge nel punto P 0 la concavità verso l alto [verso il basso]. 9.2.II Se la derivata f (x) ha nel punto x 0 un punto di massimo o di minimo relativo, allora la curva y = f(x) ha in P 0 un punto di flesso. Se si tratta di massimo o di minimo relativo proprio, allora si ha un flesso proprio. 9.2.III Se nel punto x 0 si ha f (x 0 ) > 0 [f (x 0 ) < 0] la curva y = f(x) volge nel punto P 0 la concavità verso l alto [verso il basso]. 9.2.IV Se il punto P 0 è punto di flesso per la curva y = f(x), allora si ha necessariamente f (x 0 ) = 0. 88

5 9.3. Formula di Taylor 9.3 Formula di Taylor Consideriamo una funzione f(x) definita in un intervallo A. Fissato x 0 A, facciamo su f(x) l ipotesi seguente: α) per un certo intero positivo n, la f(x) è derivabile in A fino all ordine n 1 ed esiste la derivata n-esima almeno nel punto x 0. Possiamo allora associare alla f(x) il seguente polinomio di grado n: f(x 0 ) + f (x 0 )(x x 0 ) + f (x 0 ) 2! (x x 0 ) f (n) (x 0 ) (x x n! 0 ) n = n k=0 f (k) (x 0 ) (x x k! 0 ) k. (9.13) Questo polinomio in generale non coincide con f(x) e pertanto, per avere f(x), occorrerà aggiungere ad esso un certo termine correttivo R n (x). In generale possiamo dunque scrivere f(x) = n k=0 f (k) (x 0 ) (x x k! 0 ) k + R n (x), (9.14) ma va osservato che questa formula non avrebbe alcuna importanza se non si riuscisse ad indicare una qualche proprietà o a dare una qualche espressione di R n (x). Ciò è effettivamente possibile, donde l importanza della formula (9.14) che si chiama la formula di Taylor di punto iniziale x 0 e di ordine n della funzione f(x); il termine R n (x) si chiama il resto della formula stessa. Notiamo che, ponendo x = x 0 +, la (9.14) si può anche scrivere f(x 0 + ) f(x 0 ) = n k=1 ovvero, per quanto detto alla fine del capitolo 8: f (k) (x 0 ) (x x k! 0 ) k + R n (x 0 + ) (9.15) f = df + 1 2! d2 f + 1 3! d3 f n! dn f + R n (x 0 + ); (9.16) quest ultima mette in evidenza come la formula di Taylor esprima l incremento f per mezzo dei differenziali successivi. Il primo importante risultato riguardante la formula di Taylor è il seguente: 9.3.I Nell ipotesi α) sopra menzionata per la f(x), il resto R n (x 0 + ) della formula di Taylor gode della proprietà espressa dalla R n (x 0 + ) = o( n ) ( 0). (9.17) 89

6 Capitolo 9. In virtù della (9.17) si può dunque scrivere f = df + 1 2! d2 f + 1 3! d3 f n! dn f + o( n ) (9.18) e questa estende la proprietà f = df + o() già vista nel capitolo 8, ove abbiamo anche osservato che, se f (x 0 ) 0, il differenziale df fornisce la parte principale dell incremento f. Nel caso in cui sia f (x 0 ) = 0, supposto per maggiore generalità f (x 0 ) = f (x 0 ) =... = f (n 1) (x 0 ) = 0, f (n) (x 0 ) 0, dalla (9.18) segue f = 1 n! dn f + o( n ). cioè, nel caso considerato, la parte principale dell incremento f è proporzionale al differenziale di ordine n della funzione. La 9.3.I esprime una proprietà del resto della formula di Taylor, ma non ne fornisce un espressione; quest ultima può essere ottenuta facendo sulla f(x) un ipotesi più restrittiva della α). Assumendo infatti che β) la f(x) è in A derivabile fino all ordine n ed esiste la derivata (n + 1)-esima almeno nel punto x 0, si ottiene il seguente risultato: 9.3.II Nell ipotesi β), il resto R n (x 0 + ) della formula di Taylor (9.15) ha l espressione seguente (resto di Peano): n+1 [ ] R n (x 0 + ) = f (n+1) (x (n + 1)! 0 )ω() (9.19) ove ω() indica un infinitesimo per 0. Altre espressioni per il resto, maggiormente adatte all impiego nelle applicazioni pratiche della formula di Taylor, possono essere ricavate facendo ulteriori ipotesi sulla f(x) ed utilizzando concetti non ancora introdotti. Ci occuperemo di ciò in seguito. Per concludere, osserviamo che, se l intervallo A contiene il punto x = 0, assumendolo come punto iniziale, la formula di Taylor (9.14) diventa f(x) = n k=0 che viene comunemente indicata come formula di Mac Laurin. f (k) (0) x k + R k! n (x); (9.20) 9.4 Criteri per il riconoscimento della natura dei punti di una funzione Per decidere se in un punto x 0 una funzione f(x), supposta derivabile, è crescente o decrescente, si può applicare il 9.1.I secondo il quale se f (x 0 ) > 0 la f(x) è crescente in x 0, se è f (x 0 ) < 0 la f(x) è decrescente in x 0. Tale criterio non è utile nel caso f (x 0 ) = 0. 90

7 9.5. Asintoti D altra parte non abbiamo ancora un criterio per decidere se x 0 è punto di massimo o di minimo relativo perché il 9.1.II esprime soltanto che condizione necessaria affinché x 0 supposto interno all intervallo A ove la f(x) è definita sia tale, è che risulti f (x 0 ) = 0. È facile constatare che questa condizione non è affatto sufficiente. Ammesso che la f(x) possegga derivate di ordine superiore al primo, è possibile dare un criterio che permette di decidere la natura di un punto x 0 in cui risulti f (x 0 ) = 0. Supponendo n 2, e x 0 interno all intervallo A, mediante l impiego della formula di Taylor, si può infatti ottenere il seguente risultato: 9.4.I Se nell intervallo A la funzione f(x) è derivabile almeno n 1 volte ed ammette nel punto x 0 la derivata n-esima risultando f (x 0 ) = f (x 0 ) =... = f (n 1) (x 0 ) = 0, f (n) (x 0 ) 0, (9.21) allora: 1) se n è pari ed è f (n) (x 0 ) > 0, il punto x 0 è punto di minimo relativo proprio; 2) se n è pari ed è f (n) (x 0 ) < 0, il punto x 0 è punto di massimo relativo proprio; 3) se n è dispari ed è f (n) (x 0 ) > 0, il punto x 0 è punto di flesso proprio e la f(x) è crescente in esso; 4) se n è dispari ed è f (n) (x 0 ) < 0, il punto x 0 è punto di flesso proprio e la f(x) è decrescente in esso. Analogamente, le proposizioni 9.2.II e 9.2.IV non permettono ancora di decidere se un punto x 0, in cui si abbia f (x 0 ) = 0 sia punto di flesso oppure se in esso la curva volga la concavità verso l alto o verso il basso. Si ha al riguardo il seguente risultato, ove supponiamo n 3 e x 0 interno all intervallo A: 9.4.II Se nell intervallo A la funzione f(x) è derivabile almeno n 1 volte ed ammette nel punto x 0 la derivata n-esima risultando f (x 0 ) = f (x 0 ) =... = f (n 1) (x 0 ) = 0, f (n) (x 0 ) 0, allora: 1) se n è pari ed è f (n) (x 0 ) > 0, la curva y = f(x) volge in x 0 la concavità verso l alto; 2) se n è pari ed è f (n) (x 0 ) < 0, la curva y = f(x) volge in x 0 la concavità verso il basso; 3) se n è dispari, il punto x 0 è punto di flesso proprio. 9.5 Asintoti Consideriamo una curva di equazione y = f(x) e sia P (x, y) un punto generico di essa. Se la f(x) è definita in un intervallo A privato di uno o più punti x 0, x 1,... (che saranno punti singolari per la funzione) e se in qualcuno di essi la f(x) è infinita, oppure se è definita in un intervallo A illimitato, è chiaro che il punto P (x, y) si allontana indefinitamente dall origine 91

8 Capitolo 9. O (nel senso che OP ), nel primo caso perché la sua ordinata y può assumere valori arbitrariamente grandi in valore assoluto, nel secondo caso perché lo stesso avviene almeno per la sua ascissa x. Nei casi predetti, diremo che una data retta r è un asintoto per la curva y = f(x) se avviene che, mentre il punto P si allontana indefinitamente, la sua distanza da tale retta tende a zero. Esaminiamo il primo caso. Se lim f(x) = + x x 0 è evidente che la retta verticale x = x 0 gode della proprietà enunciata e perciò tale retta è un asintoto della curva. La curva y = f(x) ha dunque un asintoto verticale in ogni punto in cui la f(x) è infinita. Esaminiamo il secondo caso. Supposto che f(x) sia definita nell intervallo A illimitato, prendiamo in esame il punto P (x, y) del grafico quando x tende all infinito. Se il punto P si allontana ammettendo un asintoto r, tale asintoto non può evidentemente essere verticale, e si potrà quindi rappresentare con un equazione del tipo y = mx + n. La distanza del punto P (x, y) da tale retta r vale 1 e, se r è un asintoto, deve dunque essere y mx n 1 + m 2 lim (y mx n) = 0 (9.22) x e quindi a maggior ragione lim x y mx n x ( y = lim x x m n ) = 0. x Ne segue m = lim x e si ha pertanto questo primo risultato: condizione necessaria affinché esista un asintoto è che esista finito il limite f(x) lim = m. (9.23) x x Se ciò accade, dalla (9.22) segue poi y x n = lim (y mx) x 1 Basta tracciare da P la perpendicolare a r e calcolare la distanza di P dal punto Q in cui detta perpendicolare incontra la retta r. 92

9 9.6. Studio del grafico di una funzione onde un altra condizione necessaria è che, col numero m fornito dalla (9.23), esista finito anche il limite lim [f(x) mx] = n. (9.24) x Viceversa, supposte verificate le due predette condizioni, è immediato constatare che, con i numeri m, n forniti dalle (9.23),(9.24), la retta y = mx + n risulta effettivamente un asintoto per la curva y = f(x). Se uno solo dei limiti (9.23),(9.24) non esiste o esiste infinito, la curva non ha asintoto. Si noti anche che può risultare m = 0. Allora si ha un asintoto orizzontale y = n con n = lim x f(x). Nelle formule precedenti abbiamo scritto semplicemente limite per x, ma va tenuto presente che in certi casi si tratterà del limite per x se l intervallo A è del tipo (, a], oppure del limite per x + se l intervallo A è del tipo [a, + ). Inoltre, anche nel caso in cui A sia illimitato tanto a sinistra che a destra, può darsi che, considerando separatamente i limiti per x e per x +, questi forniscano valori diversi in una almeno delle (9.23),(9.24); si avranno allora due asintoti, uno per la parte di curva che si allontana indefinitamente a sinistra, l altro per la parte di curva che si allontana a destra. Può accadere che esista l asintoto per una di queste parti e non per l altra. 9.6 Studio del grafico di una funzione Abbiamo fin qui derivato un complesso di regole pratiche per lo studio del grafico di una funzione f(x) definita in un insieme costituito da uno o più intervalli. Occorre per prima cosa determinare tale insieme di definizione e ciò porta a mettere in evidenza gli eventuali punti singolari della funzione stessa. In ognuno di questi punti singolari si studierà il limite della funzione y = f(x). Converrà anche subito studiare il limite della f(x) per x (se l insieme di definizione è illimitato), distinguendo se occorre il limite per x e quello per x +. Se si ottengono limiti determinati e finiti, nasceranno per la curva y = f(x) uno o due asintoti orizzontali; se invece si ottengono limiti determinati e infiniti, occorrerà cercare, con il metodo presentato in precedenza, se la curva ammette degli asintoti del tipo y = mx + n con m 0. Dopo ciò, converrà occuparsi della derivata della funzione, cercando se vi siano punti in cui tale derivata non esiste oppure esiste e vale zero. Tutti questi punti, assieme ai punti singolari della funzione, determinano di solito un gruppo di intervalli in ognuno dei quali la derivata è continua e diversa da zero; perciò in ciascuno di essi la f (x) ha segno costante. Dunque, in quegli intervalli in cui la f (x) > 0 la f(x) è crescente, in quelli in cui f (x) < 0 la f(x) è decrescente. Restano allora subito individuati i punti di massimo o di minimo relativo: sarà di massimo ogni punto non singolare passando attraverso il quale la f(x) da crescente 93

10 Capitolo 9. diventa decrescente, di minimo quelli attravereso i quali la funzione da decrescente diventa crescente. Si vede così che il solo studio dei segni della derivata prima può spesso permettere la determinazione completa dei punti di massimo o di minimo relativo della funzione (senza ricorrere alle derivate successive). Similmente si potranno studiare la concavità ed i flessi della curva, prendendo in esame i segni della derivata seconda. In quegli intervalli in cui f (x) > 0 la curva volge la concavità verso l alto, in quelli in cui f (x) < 0 volge la concavità verso il basso; inoltre in ogni punto x 0 in cui si ha f (x 0 ) = 0, verificandosi il cambiamento di segno della f (x) mentre x passa per il punto x 0, cade un flesso della curva y = f(x). 9.7 Ricerca del minimo e del massimo assoluti di una funzione Accenniamo alla questione della ricerca del minimo e del massimo assoluti di una funzione y = f(x) in un dato intervallo A. L unico caso in cui si possa a priori affermare che essi esistono è quello in cui la f(x) è continua nell intervallo A chiuso e limitato. In tal caso, i punti di massimo e di minimo assoluto o sono punti ove la f(x) non è derivabile, oppure sono gli estremi dell intervallo A oppure sono punti di A ove la f(x) è derivabile e la derivata vale zero. Pertanto, sempre nel caso predetto, basterà individuare tutti i punti x che godono di una delle proprietà dette, calcolare la funzione in ognuno di essi e fra i valori che così risultano scegliere il più piccolo ed il più grande. In ogni altro caso, l esistenza del minimo o del massimo assoluto in A non è assicurata. Si può solo dire che se il minimo assoluto (od il massimo assoluto) esiste esso cade necessariamente in uno dei punti x sopra menzionati. Si possono allora cercare detti punti x e calcolare la funzione in essi. Se fra i valori ottenuti non ce n è uno più piccolo (o uno più grande), si potrà concludere che il minimo assoluto (od il massimo assoluto) non esiste. Se fra i valori ottenuti ce n è uno più piccolo m (o uno più grande M) si potrà concludere che, se il minimo assoluto (od il massimo assoluto) esiste, esso vale necessariamente m (o M); da ciò sarà possibile dedurre l esistenza del minimo assoluto (o del massimo assoluto) soltanto se si riuscirà a dimostrare che in A è sempre f(x) m (oppure f(x) M). In casi di questo genere, la cosa migliore è studiare il grafico della funzione in A, con il che il problema si risolve immediatamente. 94

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