LE INTOSSICAZIONI DA FUNGHI A cura di Claudio Angelini

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1 LE INTOSSICAZIONI DA FUNGHI A cura di Claudio Angelini Prodotto realizzato dall'associazione AMINT ( con fotografie di numerosi Autori della stessa Quelle "vere", chiamate più propriamente micetismi, sono causate da quei funghi che contengono sempre e già allo stato fresco, concentrazioni più o meno elevate di sostanze tossiche per l uomo. E ciò per sgomberare subito il campo da quelle false che, pur rappresentando in Italia la maggior parte delle intossicazioni legate al consumo dei funghi (quasi il 65%), in realtà non sono dovute al consumo di funghi velenosi, ma di funghi appartenenti a specie di per se commestibili, divenuti tossici in determinate situazioni (vedi capitolo Le false intossicazioni ). In base al tempo che intercorre tra l'ingestione dei funghi e la comparsa dei sintomi, le intossicazioni da funghi vengono suddivise in: - Sindromi a lunga latenza: da 6 a 24 ore od oltre dal pasto, potenzialmente gravi e mortali in alcuni casi. - Sindromi a breve latenza: da pochi minuti fino ad un massimo di 4-6 ore dal pasto, a decorso benigno nella maggior parte dei casi. Esse rappresentano oltre l 80% dei micetismi osservati. Il termine latenza" è senz'altro da preferire rispetto a quello diffusamente in uso di "incubazione", perché quest ultimo, tipico delle malattie infettive, mal si adatta quando riferito all'introduzione passiva di sostanze velenose che certo non sono in grado di replicarsi nell'organismo ospite. Il termine "incubazione" dovrebbe essere invece riservato ai soli casi nei quali siamo in grado di dimostrare o fondatamente sospettare che i funghi in questione abbiano in qualche modo trasmesso all'uomo germi patogeni e/o tossine da essi stessi prodotte così come accade tipicamente nelle tossinfezioni alimentari (vedi "False intossicazioni"). Le intossicazioni vere, vengono classificate in sindromi che, generalmente, prendono il nome dalla tossina responsabile contenuta nel fungo; negli altri casi, solitamente quando la tossina responsabile non è ancora stata isolata o certa, si preferisce riferire la sindrome allo specifico quadro clinico provocato o alla specie fungina responsabile. Le intossicazioni false, invece, non determinando quadri clinici specifici, rientrano tutte quante in una generica Sindrome gastroenterica (vedi) che può essere quindi espressione sia di vera che di falsa intossicazione da funghi. Le sindromi a lunga latenza Sindrome falloidea Sindrome orellanica Sindrome giromitrica* Sindrome acromelalgica* Sindrome norleucinica* Sindrome rabdomiolitica* Sindrome di Szechwan* Sindrome cerebrale Sindrome encefalopatica *dovute comunque ad accumulo che si verifica quando specifici funghi vengono consumati in quantità esagerate e/o in un numero elevato di pasti ravvicinati (in 1-3 giorni). In generale e per non incorrere in effetti collaterali, viene consigliato di consumare non più di 200 gr. di funghi freschi alla settimana (Linee guida del Ministero della Sanità tedesco). La quantità massima di assunzione di funghi edibili freschi per pasto è stata calcolata mediamente in 300 gr. (corrispondente a 5 gr. di fungo fresco per Kg. dipeso corporeo - Tofani L., 2003), Tale quantità, già di per se cosiderevolissima, viene di norma superata

2 Sindrome falloidea La sindrome falloidea ha rappresentato nell'arco degli anni l'avvelenamento da funghi con più frequente esito mortale. Attualmente il tasso di mortalità è sceso significamente attestandosi, quando i casi sono trattati appropriatamente ed in tempo utile, al 10% del totale. Le tossine responsabili, ampiamente note e studiate, sono generalmente divise in tre gruppi: amatossine, fallotossine, virotossine. Come di seguito meglio specificato, sono solo quelle relative al primo gruppo (amatossine) le vere tossine responsabili di questa sindrome che, per comodità, si continua ancora a definire "falloidea". In passato si parlava di "Sindrome falloidea" (provocata solamente da alcune specie fungine appartenenti al genere Amanita) e di "Sindrome parafalloidea" (provocata da specie appartenenti ad altri generi fungini). Considerato che le tossine responsabili sono identiche ed i quadri clinici perfettamente sovrapponibili, oggi si preferisce considerare un'unica sindrome folloidea che le comprende entrambi. Amanita phalloides Amatossine: chimicamente e termicamente stabili, facilmente assorbite a livello gastrointestinale, sono delle piccole proteine ad 8 amminoacidi (octapeptidi) e la tossina più rappresentativa di questo gruppo è la alfa-amanitina, che ha come bersaglio principale il nucleo delle cellule epatiche. Le amatossine subiscono un ciclo enteroepatico con il 10-20% di evacuazione biliare. La loro eliminazione è principalmente urinaria ed in forma inalterata (la filtrazione glomerulare è limitata da una certa quota riassorbita a livello tubulare). Vengono secrete nel latte, ma il loro passaggio transplacentare è ancora discusso (in una donna di 22 anni, incinta di 11 settimane, e con epatite tossica falloidea, il feto non subì alcuna conseguenza). La dose letale di amanitine ipotizzata per l'uomo è di 5-7 milligrammi (circa 0,1mg/Kg). Tale quantità è contenuta in ca. 50 grammi di Amanita phalloides fresca, che praticamente corrisponde al consumo di un cappello di un esemplare adulto di medie dimensioni. 2

3 Fallotossine: Piccole proteine di soli 7 amminoacidi (eptapeptidi), agiscono direttamente danneggiando la membrana degli epatociti solo se iniettate per via endovenosa negli animali da esperimento. Sono di poca o nulla importanza clinica se ingerite, in quanto largamente inattivate dagli enzimi gastrici. 3

4 Virotossine: con struttura e meccanismo d'azione simile alle fallotossine, anche queste non hanno, per gli stessi motivi, alcuna importanza clinica e comunque presenti solo nell'amanita virosa. I funghi responsabili della sindrome falloidea sono: per il genere Amanita: A. phalloides, A. verna, A. virosa, A. porrinensis (e altre specie di Amanita americane); per il genere Galerina: G. marginata, G. autumnalis, G. venenata, G. sulciceps, G. badipes, e probabilmente altre specie; per il genere Conocybe: C. filaris e probabilmente altre specie; per il genere Pholiotina: tutte le specie (oggi rientranti tutte nel genere Conocybe); per il genere Lepiota: sono 24 le specie sospettate di contenere amatossine, ma solo 16 quelle in cui è stata dimostrata la presenza: L. brunneoincarnata, L. kuehnerii, L. langei, L. ochraceofulva, L. brunneolilacea, L. felina, L. subincarnata / josserandii, L. clypeolarioides, L. fulvella, L. griseovirens, L. heimii, L. helveola, L. pseudohelveola, L. xanthophylla, L. castanea. Segnalata, ma non ancora confermata, la presenza di amatossine in L. cristata. Amanita verna Per le dimensioni, sono i funghi del genere Amanita quelli ad essere più frequentemente responsabili di questa grave intossicazione, anche perché, con la loro ingestione, più facilmente si raggiungono dosaggi elevati di amanitine. Anche le Lepiota di piccola taglia, ma non per questo meno pericolose se ingerite nella giusta quantità (un tempo raramente raccolte e consumate quando scambiate per prataioli o per piccole "mazze di tamburo"), sono oggi frequentemente responsabili di avvelenamenti, quasi alla pari delle Amanita del gruppo "Phalloides"(49% e 51% rispettivamente). Anche se i dati nazionali indicano che la percentuale di casi di intossicazioni falloidee s.l. si mantengono più o meno costanti nel tempo (12% del totale dei micetismi per anno), si nota negli ultimi anni un aumento di casi dovuti a "Lepiote di piccola taglia" rispetto a quelli causati da Amanite del gruppo "Phalloides" (ndr. Dato ancora non pubblicato.). Anche in funghi ocrosporei appartenenti ai generi Galerina, Conocybe e Pholiotina, sono state ritrovate quantità significative di amanitine, anche se può sembrare poco probabile che qualcuno possa cibarsi di simili funghi data la loro piccola taglia ed un aspetto generale poco 4

5 invitante (a volte sono stati raccolti e consumati perché scambiati per funghi allucinogeni da persone in cerca di provare volontariamente una tale esperienza). Da non escludere a priori la possibilità che tale evenienza si realizzi con il consumo di specie come Galerina marginata e G.autumnalis che, poiché di taglia media e non piccola e con crescita a volte cespitosa, potrebbero essere raccolte perché scambiate per "chiodini" (Armillaria ostoyae, A. tabescens, ecc.) o per "mutabilis" (Kuehneromyces mutabilis). La gravità della sindrome falloidea è dovuta alla lunga latenza, che non consente un'immediata terapia finalizzata alla eliminazione dal tubo gastroenterico delle sostanze tossiche ingerite. Le amatossine (amanina, amaninamide, amanullina, ma soprattutto l a-amanitina ed in minor misura la Beta-Gamma ed E-amanitina), una volta assorbite a livello gastrointestinale, esercitano un azione citotossica per inibizione dell enzima RNA-polimerasi II, con il conseguente blocco della sintesi dell RNAmessaggero e dunque della sintesi proteica cellulare. Tutte le cellule sono raggiunte, ma di preferenza quelle in cui avviene un intensa sintesi proteica, come quelle digestive ma soprattutto epatiche. Per poter esplicare la loro azione citotossica, le amatossine devono necessariamente passare la membrana cellulare e raggiugere il nucleo (dove si trova l'enzima RNA-polimerasi II). E' stato dimostrato che tale capacità è dovuta al fatto che esse penetrano all'interno delle cellule solo se legate all'albumina e questa è la spiegazione della tossicità selettiva per quelle cellule dove si verifica anche un'elevata penetrazione di proteine per pinocitosi. Tale caratteristica è ulteriormente sfruttata a fini terapeutici (uso di pennicillina, silimarina, ecc. Vedi terapia collaterale del micetismo falloideo). Il quadro clinico è classicamente costituito di 4 fasi: 1) periodo di latenza: I disturbi compaiono dopo una latenza di 6-24 ore (10-12 ore in media). La lunga latenza dipende dal fatto che le amatossine non agiscono direttamente sulle cellule enteriche dal lato del lume intestinale, ma solo dal lato vascolare delle medesime dove giungono per via ematica solo in un secondo tempo. 2) fase gastrointestinale: dolori addominali, sudorazione, vomito incoercibile e diarrea profusa (fase coleriforme) che possono persistere a lungo e con andamento a crisi. In conseguenza di ciò si può verificare una grave disidratazione con ipovolemia che se, non prontamente corretta, può portare a insufficenza renale acuta (insuff. renale prerenale, non dovuta cioè all'azione diretta sul rene da parte delle amatossine, ma alla grave disidratazione), a shock e, nelle forme più gravi, anche a morte. 3) fase epatica: si manifesta a partire dalle ore (generalmente in 36 ora) dal pasto ed è caratterizzata da aumento delle transaminasi fino a superare UI/l. L intossicazione è più severa quando anche le alaninoaminotransferasi (ALAT) superano UI/l. All'inizio si ha aumento delle transaminasi e della bilirubina e successivamente, fin dalla 48 ora, riduzione della glicemia e dell'attività protrombinica. Nelle forme meno gravi si ha una lenta risoluzione, con un miglioramento dei sintomi confermato da una diminuzione degli enzimi (transaminasi) ed aumento dell'attività protrombinica. 4) insufficienza epatica grave: in genere in 4a-5a giornata vi può essere un'ulteriore peggioramento testimoniato dalla persistenza di bassi valori di attività protrombinica e del fattore V di coagulazione, mentre le transaminasi possono talvolta anche diminuire, ma in questo caso sono indici di necrosi epatica massiva con prognosi infausta. L esito mortale può avvenire per coma epatico con convulsioni ed insufficienza respiratoria; frequentemente vi possono essere emorragie interne (soprattutto intestinali), ipoglicemia, coagulopatia ed insufficienza renale acuta organica. La prognosi è legata alla gravità dell epatite (mediamente circa 10% di mortalità. Il Centro Antiveleni di Milano riferisce invece solo un 1% di mortalità. Le maggiori percentuali di mortalità sono sicuramente da ascrivere ad una insufficiente o tardiva terapia). Essa non è correlata al valore delle transaminasi, ma alla presenza di fattori peggiorativi quali la giovane età (mortalità 2-3 volte più elevate nel bambino), i tassi del fattore V e la protrombina quando inferiore al 10%, l insufficienza renale e l encefalopatia. La diagnosi è clinica. A conferma, è possibile oggi identificare l amanitina urinaria con metodo Elisa (sono sufficienti pochi ml. di urina, 1-2ml, prelevati precocemente e preferibilmente prima di iniziare un trattamento di reidratazione!). Il limite di rilevamento del test è di 2mg di alfaamanitina ed è considerato certo quando il valore è >6mg. Gli studi cinetici dell alfa- e beta-amanitina nell uomo, hanno dimostrato che le amatossine sono presenti nel plasma a 5

6 deboli concentrazioni, mentre a forti concentrazioni lo sono nelle urine e nelle feci (cento volte maggiori rispetto al sangue), ma solamente durante le ore susseguenti l ingestione. Per quanto riguarda la terapia, è di fondamentale importanza ai fini prognostici, un precoce intervento in reparto di emergenza (entro e non oltre le ore dal pasto!) di diuresi forzata (1litro ogni 10Kg di peso nelle 24 ore, più il reintegro delle perdite gastroenteriche) con sorveglianza dei parametri emodinamici ed elettrolitici(ogni 12 ore: glucosio, ALT, AST, AP, PTT, piastrine, urea, creatinina, elettroliti, bicarbonato, ematocrito, CK; ogni 24 ore: bilirubina, calcio, magnesio, emogasanalisi, fattore V, se acidosi valutare acido lattico; monitoraggio frequente: PA, PVC, OUT-PUT urinario, bilancio idroelettrolitico). La diuresi forzata deve essere mantenuta fino a ore dall ingestione con progressiva riduzione dell apporto di liquidi a partire dalla 4-5 giornata. La diarrea, ricca in tossine, deve essere rispettata. L'interruzione del ciclo enteroepatico delle amatossine con la somministrazione ripetuta di carbone attivato (Carbomix, 30g/6 ore attraverso sonda nasogastrica fin che perdura il vomito o per os. La somministrazione viene eseguita per 3-4 giorni), può essere proposta, ma è resa difficile a causa dell'intolleranza digestiva. Tra i numerosi trattamenti "antitossici" proposti, unicamente la penicillina G, con una posologia raccomandata variante da a 1 milioneui kg i.v. (mediamente 40 milioni), tenendo conto che le dosi massicce possono indurre degli effetti neurologici centrali soprattutto nei bambini (la penicillina G farebbe diminuire la penetrazione intracellulare delle amanitine e limitando il loro circolo enteroepatico per competizione a livello della secrezione biliare), e la silimarina iniettabile (epatoprotettore che impedirebbe la penetrazione intracellulare delle amanitine), in ragione di 5mg/Kg i.v. entro la prima ora poi mg kg i.v./die per i primi 3 giorni di terapia (Legalon iniettabile), hanno dato alcuni risultati, sia sperimentali che clinici, interessanti. Tuttavia, in assenza di uno studio clinico controllato, l'efficacia di questi trattamenti non è stata stabilita con certezza. Più recentemente, è stata proposta la somministrazione di N-acetil cisteina (Fluimucil, Mucomyst) la cui efficacia deve essere ancora confermata (precursore del glutatione, impedirebbe l accumulo di metabolici epatotossici). Le tecniche di depurazione extrarenale (dialisi peritoneale, emodialisi, plasmaferesi, emoperfusione), non sono di nessun interesse terapeutico (Mullins, Horowitz Vet Hum Toxicol Apr;42(2):90-1), malgrado l'entusiasmo e la convinzione empirica di alcuni Autori. Il trattamento dell'epatite è sintomatico. L'acme delle anomalie biologiche epatiche è osservata in generale in 4-5 giornata. La rigenerazione epatica può essere apprezzata dal dosaggio dell'alfafoetoproteina. In caso di insufficienza epatica grave, il trapianto epatico deve essere preso in considerazione, ma la difficoltà maggiore sta principalmente nel definire precocemente i fattori prognostici dell irreversibilità delle lesioni epatiche. Recentemente (Lionte et all. Rom J Gastroenterol Sep.;14(3):267-71) è stato sperimentato con successo un nuovo approccio terapeutico attraverso un sistema di ricircolo epatico esterno per adsorbimento molecolare (MARS). Con tale sistema si è potuta salvare recentemente una donna di 39 anni con epatite fulminante per avvelenamento da Amanita phalloides per la quale non era disponibile il ricorso ad un trapianto epatico. Questo interessante metodo di depurazione epatica con l utilizzo di un dialisato di albumina in grado di rimuovere quella parte di albumine legate alle tossine, se pur interessante, abbisogna di importanti conferme. Sindrome orellanica Descritta per la prima volta nel 1965 da Grzymala in Polonia (per una intossicazione di massa che coinvolse circa 200 persone con un tasso di mortalità del 10% ed un elevato numero di invalidità permanenti), fu poi segnalata in Germania, Svizzera, Francia e successivamente in tutta Europa. L orellanina è la tossina responsabile di questa grave e, per fortuna, rara sindrome. A differenza del passato, in questi ultimi anni si sono verificati solo due casi nel nostro paese (ed incredibilmente il pasto dei "funghi venefici" era avvenuto in un ristorante!). I funghi responsabili sono due: Cortinarius orellanus e Cortinarius orellanoides (noto anche come C. speciosissimus o C. rubellus). 6

7 In relatà esiste un altro cortinario "nostrano" che contiene orellanina (anche se in tracce), il Cortinarius rubicundulus (=C. pseudobolaris), ma che non è mai stato responsabile di alcun caso di micetismo nonstante l'aspetto e la taglia non siano dissimili dagli altri due cortinari, probabilmente per il basso contenuto in orellanina. Per ragioni di completezza è doveroso rammentare che in letteratura sono descritte altre due specie di cortinari contenenti orellanina, ma non presenti nel nostro continente. Si tratta di C. fluorescens (sudamerica) e C. rainierensis (nordamerica). C.orellanus 7

8 C.orellanoides = C.speciosissimus Come ben rappresentato dai fotocolor, appare alquanto inverosimile che queste specie dall'aspetto così poco invitante possano essere state raccolte e consumate (anche se C. speciosissimus frequentemente può raggiungere taglie importanti con diametro del cappello che può raggiungere anche i cm.!). Lo scambio con specie commestibili appare poco probabile anche tra i meno esperti. I casi italiani, infatti, si sono verificati soprattutto in regione Trentino Alto Adige dove questi funghi sono stati raccolti ancora immaturi (cioè a cappello ancora chiuso) perchè scambiati con giovani esemplari di Chroogomphus helveticus, specie tradizionalmente raccolta e consumata in loco ("ciodel"). Per molto tempo si era creduto e pubblicato in molti testi di micologia (alcuni purtroppo attualmente in commercio!) che anche altri cortinari contenessero orellanina. Per esempio C. splendens, C. gentilis, C. limonius, C. cotoneus e C. venetus. Altri Autori inserivano in questa lista anche tutte le specie costituenti il genere Dermocybe. Recentemente tali ipotesi sono state completamente destituite di ogni fondamento. Alcune di queste specie fungine potrebbero essere forse responsabili di una analoga sindrome, ma di minore gravità, per la presenza di altre sostanze quali benzonina A e B, cortinarina, Grzymalina ed altre molecole non ancora ben identificate. Per quanto riguarda le specie del genere Dermocybe, alcuni Autori hanno ipotizzato un loro conivolgimento nella sindrome gastroenterica (vedi). La presenza di orellanina in una specie fungina è, tra l'altro, facilmente rilevabile con la reazione al cloruro ferrico (vedi descrizione del test in RdM,XXXVI, 2; p ; 1993). La reazione è altamente specifica ed eseguibile in pochi minuti a partire da piccoli frammenti (soprattutto lamelle) sia di fungo secco che di fungo fresco. L'orellanina può essere rilevata anche nei limiti di nanogrammi e non sono note reazioni di "falsa" positività al test. L orellanina, composto bipiridilico non volatile e altamente termostabile (eventualmente fotosensibile solo se isolata), risulta tossica per il rene in modo diretto (tossina nefrocitotossica). Essa presenta una stabilità ambientale eccezzionale e la sua tossicità rimane inalterata in campioni di funghi secchi d'erbario vecchi anche di 60 anni! 8

9 Il danno avviene per accumulo della tossina in fase di eliminazione attraverso il rene. Il riassorbimento tubulare provoca un grave edema interstiziale con ischemia e conseguente necrosi tubulare. Si dà per scontato che in tutti gli avvelenamenti, micetismi compresi, la gravità dei sintomi è da porre in relazione con la quantità assunta. In questo caso, invece, è significativo il fatto che, anche negli animali da esperimento, si manifestino delle grandi variazioni individuali nella sensibilità a questa sostanza tossica: almeno il % dei ratti sono resistenti, anche per dosaggi elevati e ciò corrisponde in modo stupefacente all'osservazione clinica sull'uomo, dove si sa che in molte intossicazioni collettive avvenute in passato, diversi soggetti hanno manifestato una spontanea resistenza all'orellanina. Le cause di questo fenomeno sono con molta probabilità genetiche. Si è stimato che la DL50 (dose letale media) nel topo è maggiore di quella delle amatossine e corrispondente a 8,3 mg/kg di p.v. Il meccanismo d'azione dell'orellanina è di recente acquisizione e consisterebbe nel blocco totale dell'attività della fosfatasi alcalina dell'orletto a spazzola delle cellule dei tubuli renali (ndr. Dato in corso di pubblicazione). Il quadro clinico comprende 2 fasi ben distinte: dopo una latenza di 8-12 ma anche fino a ore, può comparire un lieve stato di malessere con inappetenza, nausea e senso di stanchezza generale. Possono anche comparire secchezza del cavo orale con sete intensa, occasionali disturbi gastroenterici quali vomito e diarrea (seguita da stipsi ostinata) e dolorabilità lombare ed epigastrica. Dopo questa fase, che può anche mancare o sfuggire all'osservazione per la lieve sintomatologia, segue un netto miglioramenbto delle condizioni generali ed apparente guarigione. Successivamente e dopo una lunga latenza (3-18 giorni) che può arrivare fino a 20 giorni!, vi è la comparsa dell'insufficienza renale acuta caratterizzata da encefalopatia (dovuta alla iperazotemia), sete, brividi, parestesie alle estremità, dolore lombare bilaterale con riduzione nella produzione di urine (oliguria-anuria), ematuria (sangue nelle urine) e anemia. Le lesioni renali evolveranno quasi inevitabilmente verso una insufficienza renale cronica irreversibile (sono rarissimi i casi di guarigione segnalati in questa fase). Poco o nulla si può fare a livello terapeutico. Il furosemide (diuretico) è da proscrivere in quanto si è dimostrato che aggrava le lesioni negli animali da esperimento. L irreversibilità dell insufficienza renale, obbliga il paziente che sopravvive alla fase acuta, ad una dialisi a vita o al trapianto renale quando possibile. In quest ultimo caso, il trapianto deve essere eventualmente realizzato tardivamente! (6-30, mediamente 10, mesi dopo il superamento della fase acuta!), a causa del lento ripristino spontaneo della funzione renale. Di non poco conto rilevare che un trattamento intensivo (dialisi e/o diuresi forzata) effettuato in pazienti che avevano sicuramente consumato C. orellanus e che non avevano ancora manifestato sintomi, non ha impedito l'instaurarsi successivamente dell'insufficienza renale! Il lungo periodo di latenza che caratterizza questa sindrome, non aiuta di certo il medico nella raccolta di tutti i dati anamnestici necessari. Difficilmente il paziente ricorderà o dirà di aver consumato funghi non controllati o 20 giorni prima! ed in tal modo, così come avvenuto in passato per altri micetismi (vedi per esempio "sindrome norleucinica"), molti casi clinici di insufficienza renale acuta rimasti insoluti da un punto di vista eziologico, potrebbero essere ascritti al consumo di funghi velenosi. Sindrome giromitrica (o gyromitriana) Molto simile a quella falloidea, si tratta anche in questo caso di una sindrome citotossica caratterizzata da una lunga latenza per la presenza di un alcaloide, la Gyromitrina. I funghi responsabili sono tutti e quanti rientranti nella Divisione Ascomicota ("Ascomiceti") e precisamente: Gyromitra esculenta, Gyromitra gigas, Gyromitra infula e probabilmente anche le altre specie del Genere. Contengono Gyromitrina anche Helvella crispa, Helvella lacunosa (e probabilmente anche altre Helvella), Cudonia circinans (e probabilmente anche C. confusa), oltre ad altre specie appartenenti ai generi Leotia (L. lubrica) e Spatularia (S. flavida). Non sono comunque descritti casi di intossicazioni dovute al consumo di ascomiceti diversi da Gyromitra, nonostante il loro innegabile contenuto in gyromitrina. Destituita di ogni fondamento in un recente lavoro pubblicato, la possibilità che Sarcosphaera crassa contenga gyromitrina (come da alcuni Autori era stato ipotizzato). La positività per tale 9

10 sostanza riscontrata in alcune specie di Helvella, dovrà invece far riconsiderare il giudizio di commestibilità su questo Genere. Gyromitra esculenta Gyromitra gigas 10

11 Gyromitra infula 11

12 Helvella crispa 12

13 Cudonia circinans La Gyromitrina è in realtà costituita da una miscela di una decina di sostanze quali la N-metil- N-formil-idrazina successivamente idrolizzata a livello epatico in monometilidrazina (MMH), acetaldeide, ac. formico e altri metil-formil-idrazoni altamente tossici. La MMH è uno dei più potenti veleni epato-tossici conosciuti. Tale sostanza svolge un'azione tossica nei confronti delle cellule epatiche (attivazione metabolica con produzione di radicali reattivi), dei globuli rossi (detrmina emolisi dei globuli rossi con formazione di metaemoglobina i cui pigmenti vengono escreti con le urine), ma soprattutto delle cellule del sistema nervoso centrale per inibizione della piridossina (analogamente a quanto avviene per l isoniazide, farmaco usato nella terapia della tubercolosi dll'uomo) e quindi dei sistemi enzimatici piridossino-dipendenti (poiché la piridossina è un cofattore dell acido glutammico), determinando una diminuzione dell acido gamma-aminobutirrico (GABA) intracerebrale che è all origine delle convulsioni che si osservano in questa sindrome. La gyromitrina è comunque una tossina idrosolubile, relativamente termolabile e fortemente volatile anche a temperatura ambiente, tendendo perciò ad essere allontanata con adeguati sistemi di preparazione o di conservazione come la bollitura senza coperchio e l essiccamento. Si tenga conto però che la cottura, anche se prolungata, non garantisce sempre una copleta inattivazione o allontanamento delle tossine presenti. Rimane il fatto, comunque, che questi funghi vengono tuttora consumati da molte persone senza apparenti disturbi, soprattutto in Europa centrale, dove viene mantenuta una solida tradizione culinaria. Tale tradizione è identificata dall epiteto specifico, esculenta appunto, postole all'inizio dell'800 e che sta a testimoniare il suo gusto prelibato, ma non di certo la sua potenziale pericolosità! La maggior parte delle intossicazioni descritte sono da ascrivere al consumo di "False spugnole" cioè di funghi appartenenti al genere Gyromitra. Esse rappresentano un tipico esempio di tossicità per accumulo cioè a dire per consumi di abbondanti (>500g) e/o ripetute quantità ingerite in un breve lasso di tempo (1-3 giorni) e non sufficientemente 13

14 trattate(cottura prolungata previa essiccazione). Sono state anche descritte, seppur raramente, intossicazioni per inalazione sia in individui che lavoravano nelle industrie dove venivano essiccate le Giromitre, sia per inalazione di vapori durante la cottura (in questo caso con un tempo di latenza ridotto a 2 ore!). Gli esemplari di Giromitra che crescono nell'europa occidentale e meridionale sembrano essere meno dannosi di quelli ritrovati nell'europa orientale ove sono stati segnalati casi di intossicazione letali soprattutto nei bambini e soprattutto per accidentali ingestioni anche di piccole quantità di fungo crudo. L'intossicazione si distingue anche per una grande variabilità della suscettibilità individuale, mostrando per questa caratteristica alcune analogie con la sindrome orellanica. Il quadro clinico, quando completo, è tipicamente bifasico. La prima fase è caratterizzata da sintomi di ordine digestivo (senso di peso epigastrico,vomito anche grave, dolori addominali e raramente diarrea) che sopraggiungono dopo una latenza da 6 a 24 ore, ciò che potrebbe rievocare, in questa fase, una sindrome falloidea. Tuttavia, il carattere primaverile dell'intossicazione, la descrizione stessa grossolana del fungo, così come la presenza di cefalee e soprattutto di febbre!, possono costituire elementi chiarificatori. Possono ancora comparire in questa fase sonnolenza o agitazione, fascicolazioni e crampi muscolari. In molti casi il quadro clinico si arresta a questo stadio ed in 2-6 giorni le condizioni dell'intossicato evolvono verso la guarigione. In altri casi però, trascorso un periodo di 2-3 giorni, si assiste ad una seconda fase caratterizzata da una sintomatologia d'organo. Gli organi bersaglio sono, in ordine di comparsa, il fegato, il sangue (globuli rossi) ed il sistema nervoso centrale. Il danno epatico è di tipo citolitico, generalmente moderato, che può accompagnarsi ad emolisi con ittero, che a sua volta può complicarsi con un'insufficienza renale. In caso di intossicazione grave, si evidenzia il sopraggiungere dei sintomi neurologici quali agitazione, vertigini, disturbi della vista, delirio, convulsioni fino al coma. Ad eccezione dei casi in cui il fungo sia stato consumato crudo (bambini?!), i casi mortali rispetto a questa sindrome sono estremamente rari. In alcune pubblicazioni, questa sindrome viene considerata come una sindrome a breve latenza. In effetti in alcuni intossicati, i tempi di latenza si sono manifestati entro le 4-6 ore. E' stato anche menzionato più sopra il fatto che nei casi di inalazione di vapori del fungo durante la cottura o in fase di essiccazione, il tempo di latenza si abbassa notevolmente ed in genere entro le 2-3 ore. Rimane comunque il fatto che nella maggior parte dei casi segnalati il tempo di latenza mediamente si stabilizzava nelle 8-12 ore e questo giustifica il fatto di considerare la sindrome giromitrica come una sindrome a lunga latenza. E' innegabile il fatto che, in alcuni casi, soprattutto quando viene a mancare la seconda fase della sintomatologia, questa sindrome potrebbe essere scambiata con quella gastrointestinale a breve latenza (per esempio per il consumo di "spugnole vere" non sufficientemente cotte!). Considerato il fatto che, sempre nella prima fase, lo scambio può avvenire paradossalmente anche con la sindrome falloidea, si comprende come arduo sia a volte il compito per il clinico ed il micologo di emettere una diagnosi corretta in mancanza di materiale fungino da poter esaminare (aspirato gastrico, avanzi di cottura/pulitura, ecc.). Il trattamento è innanzitutto sintomatico: compenso delle perdite idroelettrolitiche, trattamento delle convulsioni, sorveglianza pluriquotidiana dei parametri biologici (ionogramma, transaminasi, creatininemia, tasso di protrombina, bilirubina, emogramma). Nei casi con sintomatologia grave, si ricorre alla diuresi forzata come si trattasse di una sindrome falloidea (vedi). La somministrazione di vitamina B6 in perfusione i.v. alla dose di 25 mg/kg in minuti, può essere proposta in caso di sintomi neurologici poiché la piridossina (o vit.b6) si è dimostrata essere il naturale specifico antidoto. Sindrome acromelalgica (o eritromelalgica) Questa rara sindrome, descritta già all inizio del secolo scorso in Giappone (Nakamura, 1987) ed in Corea, è stata segnalata a Lanslebourg nel sud della Francia a ridosso dell Alta Savoia nel Recentemente è stata segnalata anche in Italia (Abruzzo) per un intossicazione collettiva con sette pazienti colpiti e avvenuta nel settembre 2002 ad Avezzano (AQ). Tossine resposabili sarebbero alcuni acidi acromelici (A, B, C, D ed E). Questi composti aminoacidici mostrano un omologia strutturale con gli acidi kainico e domoico, potenti neuroeccitatori che esercitano un attività agonista per il recettore del glutammato (non NMDA 14

15 sottotipo kainato). I recettori per il glutammato sono classicamente localizzati a livello del sistema nervoso centrale; la presenza di tali recettori anche nelle terminazioni poco o non mielinizzate della pelle e dei vasi sanguigni periferici, giustificherebbe l insorgenza del dolore associato all edema infiammatorio delle estremità. Specie fungina responsabile Clitocybe amoenolens (Clitocybe acromelalga) è invece il fungo orientale responsabile dell analoga sindrome, da cui il nome; recentemente C.acromelelga è stata ritrovata in Francia ndr). In realtà, le vere tossine responsabili di questa sindrome sono ancora oggetto di studio in quanto gli acidi acromelici contenuti nel fungo C. acromelelga non sono stati rinvenuti in C. amoenolens pur manifestandosi, con il consumo di entrambi le specie, analoga sindrome. Foto di Clitocybe amoenolens (Foto di Pierre-Arthur Moreau), ringraziamo sentitamente l'autore dell'immagine per la disponibilità concessa nell'uso. Dopo una latenza di ore che può anche protrarsi fino a 4-6 giorni (ciò ne favorisce un eventuale e ripetuto consumo), compaiono sintomi definiti essenzialmente come forti dolori di tipo urente alle estremità dei piedi e, a volte, anche delle mani, o di tipo scossa elettrica o punture di spillo, in rari casi anche a livello dei talloni, della punta del naso e delle orecchie. Tali dolori avvengono per forti crisi parossistiche soprattutto notturne, ma in alcuni casi anche diurne con frequenza anche di una crisi ogni 30 minuti. In corrispondenza delle zone doloranti si ha sempre la presenza di un edema grave che, nei momenti parossistici, si associa ad eritema delle aree medesime. Le crisi sono aggravate dalla deambulazione, dalla stazione eretta e dal calore. Provoca sollievo solo l applicazione del freddo (acqua ghiacciata). Non hanno infatti molto effetto i più comuni farmaci analgesici-antidolorifici o antinfiammatori. Miglioramenti molto modesti e temporanei si sono registrati, nell sperienza francese, dopo somministrazione di ac. Acetil-salicilico (aspirina) associata a vitamine del complesso B (in Italia si è rivelato migliore l effetto terapeutico ottenuto con la somministrazione del metamizolo (novalgina). Tipica è inoltre la totale assenza di segni di interessamento gastrointestinale. Analogamente non si verificano segni di sofferenza epatica e renale. Per questi motivi è assai difficile per il medico in prima battuta sospettare un micetismo come responsabile dei sintomi rilevati; normalmente si sospetta una polineuropatia sine 15

16 materia. La quantità dei funghi e l assunzione ripetuta giocano un ruolo altrettanto importante nel determinare l intensità e la durata del malessere (la sindrome è chiaramente dosedipendente). Caratteristicamente lungo è anche il tempo di recupero; sono infatti necessare alcune settimane o alcuni mesi e fino ad un anno e più per avere una restituito ad integrum completa. Anche se sono segnalate raramente sequele di cicatrici nelle arre colpite, la sindrome decorre normalmente con esito favorevole. Sindrome norleucinica o nefrotossica o smithiana Nel 1994 in Francia, nella regione a sud di Montpellier, venne segnalato e pubblicato un caso di intossicazione da funghi che metteva in relazione la comparsa di un insufficienza renale acuta con l ingestione di Amanita proxima. Successivamente sono stati segnalati (Pellizzari & Moser, Pagine di micologia, n. 11, 1999) altri casi soprattutto nella costa pacifica dell'america settentrionale e riguardavano Amanita del sottogenere Lepidella, principalmente Amanita smithiana e A. solitaria. I quadri clinici assomigliavano alla sindrome orellanica, a causa di una elevata tossicità renale, ma mai si era potuto isolare orellanina. Già negli anni fra il '66 e il '73, da questa Amanita era stato isolato un aminoacido allenico non-proteico termostabile, la norleucina allenica (aminohexadienoic acid), di cui si era dimostrata sperimentalmente la tossicità in alcuni animali. Recentemente è stata isaolata anche la clorocrotilglicina. Allo stato attuale si è correlato questo aminoacido con questi casi di intossicazione umana e se ne è anche dimostrata sperimentalmente la notevole differenza di effetti tossici sulle cellule tubulari renali rispetto all'orellanina: l orellanina blocca l attività della fosfatasi alcalina dell orletto a spazzola delle cellule dei tubuli renali, la norleucina no. Questo fatto spiegherebbe la reversibilità del danno renale in questa sindrome rispetto alla irreversibilità che di norma avviene in quella orellanica. Anche in Estremo Oriente altri studiosi giapponesi isolarono la norleucina allenica in alcune Amanita dello stesso gruppo (A. pseudoporphyria e A. neoovoidea), senza però confermarne la tossicità. Recentemente anche in Italia si sono moltiplicate le segnalazioni di sindromi norleuciniche, particolarmente nell Italia centro-meridionale, dove più sono diffuse le amanite di questo gruppo e dove sovente vengono anche tradizionalmente consumate. Le segnalazioni provengono soprattutto dalla Toscana, Puglia e Sardegna. Funghi responsabili di questa sindrome sono le Amanita appartenenti al gruppo ovoidea, come ovoidea stessa, proxima e aminoaliphatica 16

17 Amanita ovoidea Dopo circa 8-14 ore dall ingestione, si ha comparsa di sintomi intensi gastrointestinali, come nausea, malessere generale ed addominale, vomito, diarrea, sudorazioni, ansietà e nervosismo, vertigini (alcuni Autori riportano tempi di latenza inferiori, 4-10 ore, tanto da porre questa sindrome in quelle a breve latenza). Successivamente (tra le 24 e le 72 ore) e nei casi con accumulo dovuto a pasti abbondanti e ripetuti, si assiste ad una progressiva riduzione della funzionalità renale fino alla oliguria ed anuria completa. In alcuni casi si osserva anche un'insufficienza epatica con innalzamento dei valori di alcuni enzimi (anche fino a 14 volte), con tendenza però a rientrare rapidamente verso la normalità. La funzione renale, invece, viene ripristinata molto più lentamente e rimane a lungo disturbata, tendendo comunque alla normalizzazione in 7-10 giorni. La terapia è sintomatica e di supporto alla funzione renale ed epatica con prognosi per lo più favorevole salvo casi con particolari complicazioni. Anche in questa sindrome (com anche in queela giromitrica ed orellanica), esiste un'importante variabilità individuale della sensibilità agli effetti della specie fungina responsabile, e perciò viene consigliato di misurare la creatininemia plasmatica in tutti i commensali anche se asintomatici. Sindrome rabdomiolitica Si tratta di una sindrome di recentissima acquisizione studiata in Francia per un episodio occorso nell anno che vide colpite una trentina di persone con 9 decessi (25% con dimostrazione autoptica di cardiotossicità) che avevano consumato una specie fungina fino allora ritenuta commestibile, il Tricholoma equestre (e/o della sua varietà auratum) Tricholoma equestre 17

18 Per confronto la sua varietà, T.equestre var.auratum, foto di Emanuele Campo. (ringraziamo sentitamente l'autore dell'immagine per la disponibilità concessa nell'uso.) Tale specie fungina era presente in Italia addirittura nella lista nazionale dei funghi ammessi alla vendita e che ora, con apposito decreto, ne è stata vietata sia la vendita che la raccolta! In realtà si è potuto dimostrare che tale micetismo avviene quando la specie fungina responsabile viene consumata in grandi quantità ed in assunzioni ripetute in 2-3 giorni con 3-6 pasti consecutivi (per riprodurre la sindrome negli animali da esperimento sono necessarie dosi molto elevate in rapporto al peso!). Nel 2002, sono stati riportati 2 casi in Polonia (madre-figlio) conseguenti a 9 pasti consecutivi di Tricholoma equestre. (In oriente - Taiwan sono stati segnalati casi di rabdomiolisi per ingestione di funghi appartenenti alla specie Russula subnigricans). In Italia non sono stati segnalati casi di questa intossicazione. La tossina responsabile non è stata isolata con certezza, ma si ipotizza essere una citocalasina (citocalasina B, sostanza ad effetto rabdomiolitico e prodotta normalmente da alcuni Mixomyceti che possono parassitare altri funghi, Tricoloma equestre compreso). La rabdomiolisi è una grave evenienza clinica dovuta a distruzione o a lesioni a carico delle fibre muscolari striate (lesioni con rottura del sarcolemma e successiva fuoriuscita di enzimi, mioglobina ed altre sostanze). Le creatinfosfochinasi (CPK) sono molto elevate (anche > di UI/l). Dopo 1-3 giorni dall ultimo pasto, compaiono grave astenia, malessere, affaticamento, mialgie con crampi e rigidità muscolare soprattutto agli arti inferiori (coscie e polpacci), sudorazione, polipnea, eritema al viso, danno renale con urine scure (mioglobinuria) ed oliguria-anuria temporanea. Tipica l assenza di sintomi gastroenterici. Il decesso avviene in un contesto di insufficienza cardiaca ribelle al trattamento. L istologia ha dimostrato una necrosi dei muscoli striati del diaframma e del miocardio. Pur trattandosi di un evenienza piuttosto rara, è bene che il medico tenga presente che nell eziologia di una rabdomiolisi (es.: gravi traumi in persone rimaste schiacciate sotto le macerie e per molto tempo come avviene nei terremoti, per malattie immunitarie, nel corso di particolari infezioni batteriche e virali, da combinazioni di alcuni farmaci come le statine ) 18

19 anche una responsabilità fungina è da tenere in debito conto nella diagnosi differenziale. La terapia è di supporto generale cardiovascolare e renale (consigliabile il ricovero in ambienti rianimativi). Articolo rilevante sul Tricholoma Equestre - Gabriele Ricci C.M.Friulano Sindrome di Szechwan Pur essendo stata descritta per la prima volta nel 1980 da un ematologo del Minnesota, tale Dr. Hammerschmidt, questa sindrome non compare nei testi classici di micotossicologia (eccezion fatta per il libro di D.Benjamin ) per cui risulta pressoché sconosciuta alla gran parte dei micologi e alla quasi totalità dei medici. Il nome Szechwan deriva da una zona molto povera della Cina (Sse-tch ouan) dove il fungo responsabile di questa sindrome, l Auricularia auricula-judae, viene ampiamente coltivato per la cucina tradzionale. L ematologo statunitense aveva notato tra i suoi pazienti un numero troppo elevato di casi di misteriose emorragie e/o di porpore emorragiche nella sua clientela. La ricerca eziologia aveva infatti escluso quelle rare affezioni dovute a difetti genetici e quelle provocate da quei farmaci che agiscono sull aggregazione piastrinica (aspirina, FANS, ). Finì con il constatare che parecchi di questi erano consumatori abituali e fanatici di una discutibile preparazione cinese anche acquistabile nei supermercati, il <<mio-po tofu>> a base, appunto, del fungo incriminato. 19

20 Successivamente studiata dal Benjamin, questa sindrome tossica si è sviluppata tra il 1970 ed il 1980 in differenti ristoranti cinesi degli Stati Uniti, specializzati di cucina cantonese, che proponevano alcune ricette dello Szechwan, ma anche di Hunan, Pechino e di altri territori cinesi. Auricularia auricula-judae, il cosiddetto Orecchio di Giuda (per la crescita che ricorda forma e consistenza di un padiglione auricolare e per la fruttificazione che spesso avviene sulla pianta del sambuco, per antica cultura popolare, si pensava che questo fungo rappresentasse gli orecchi del traditore di Gesù, impiccatosi a questo albero dopo l ultima cena), è fungo considerato commestibile e largamente coltivato in tutto l Oriente, anche per le proprietà benefiche e terapeutiche che gli sono attribuite soprattutto dagli avanguardisti della medicina naturale (anticancerogeno, antiemorroidario, antitrombotico, nei traumi e nelle contusioni, lombaggini e dolori reumatici, con l unica controindicazione in caso di gravidanza). 20

21 Se consumato troppo di frequente ed in quantità eccessive, o, peggio ancora, associato a sostanze (zenzero, altro tipico ingrediente della cucina cinese) o a farmaci antiaggreganti piastrinici (aspirina e FANS), questo fungo può provocare porpore emorragiche cutanee ed emorragie interne ed esterne più o meno gravi a seconda del lotto commercializzato per la presenza di differenti concentrazioni dei metabolici tossici (fenomeno ben noto ai micologi e presente in molte specie di funghi coltivati e non, dipendenti da condizioni ecologiche e climatiche). Le sostanze responsabili di questa sindrome, non sono ancora state identificate. 21

22 La terapia è sintomatica e la prognosi, di solito, fausta. Per il medico, questa sindrome deve essere tenuta in considerazione per la diagnosi differenziale con altre porpore emorragiche. Sindrome del sistema nervoso centrale Il fungo incriminato è l Hapalopilus rutilans responsabile in Germania di 3 casi di intossicazione (probabilmente scambiato per Fistulina hepatica!) caratterizzati per la comparsa di disturbi digestivi tardivi e di urine di color viola. Un bambino di 7 anni ha presentato dopo 12 ore, sintomi a carico del fegato, dei reni (aumento delle ALAT e della creatininemia) e del sistema nervoso centrale (capogiri, atassia, sonnolenza, agitazioni, visioni ed alterazione del tracciato elettroencefalografico [EEG] compatibile con un edema cerebrale). Questa sintomatologia, attribuita alla presenza di forti concentrazioni di acido poliporico presente in questo fungo, è stata in parte riprodotta nel ratto. La terapia seguita in questi casi fu quella di una gastrolusi (lavanda gastrica) se entro 6 ore dal pasto oppure la somministrazione di carbone attivo, l'innevitabile trattamento di reidratazione e un breve periodo di emoperfusione o dialisi peritoneale o emodialisi, per controbattere l'insufficienza renale acuta in atto. Tutti e tre gli intossicati si ristabilirono completamente. 22

23 Sindrome Encefalopatica Nel 2004 e 2005, sono stati segnalati in Giappone (Kato T. et all./2004 Kuwabara T. et all./2005 Obara K. et all./2005) alcuni casi di encefalopatia dovuti al consumo di un fungo, Pleurocybella porrigens, con esito mortale in molti casi. In realtà, tutti i 17 pazienti coinvolti soffrivano già da tempo di insufficienza renale cronica e molti di essi erano in dialisi. Tutti i pazienti avevano consumato lo stesso fungo, localmente chiamato Sugihiratake ( angel s wing mushroom - << fungo ad ala d angelo >> - nei paesi anglosassoni) e dopo una latenza di circa 2-3 settimane (!), hanno tutti quanti manifestato sintomi al sistema nervoso centrale (lesioni edematose plurifocali). I sintomi sono durati per più giorni (anche per più settimane in molti casi) e comprendevano tremori, atassia, dolore alle estremità, e dopo 4-5 giorni sostituiti da disturbi della coscienza ed epilessia (fino allo stato epilettico). 6 di essi morirono e 5 rimasero con gravi conseguenze neurologiche. La terapia consistette nella somministrazione di corticosteroidi. Suggestivo fu il fatto del constatare che quelli che si salvarono erano quelli con un danno renale pregresso più lieve. La prognosi dipese perciò dall entità della nefropatia pregressa. Le sindromi a breve latenza Sindrome muscarinica Sindrome panterinica Sindrome psilocibinica Sindrome coprinica Sindrome paxillica Sindrome gastrointestinale 23

24 Sindrome muscarinica (o sudoripara o neurotossica colinergica) La tossina responsabile è la muscarina. Si tratta di una tossina termostabile con una DL/50 calcolata in 2,5mg/Kg e con una struttura chimica simile ad una sostanza normalmente presente nel nostro corpo, l'acetilcolina. Le specie fungine coinvolte in questa sindrome appartengono al genere Inocybe (dimostrata in almeno una cinquantina di specie - tra cui I. amethystina, striata=acuta, brevispora, flocculosa, geophylla e sue varietà, auricoma, bongardii, cervicolor, dulcamara, erubescens=patouillardi, fibrosa, geophylla, hirtella, lacera, langei, lanuginosa, maculata, mixtilis, napipes, praetervisa, pusio, queletii, rimosa=fastigiata, sindonia, splendens, subcarpta=boltonii, terrigena, asterospora, curtipes, godeyi, griseolilacina, napipes, umbrina, assimilata, auricoma, heimii, whitei, soluta, ecc. - si sospetta che tutte le inocibi contengano muscarina), e al genere Clitocybe (diverse specie soprattutto tra quelle bianche di piccola taglia, in particolare la sezione "Candicantes": C.rivulosa, cerussata=pityophyla, fragrans=suaveolens, dealbata e sue varietà, candicans, ericetorum, phyllophila, obsoleta=deceptiva, graminicola, velenovskyi, augustissima). Recentemente in Francia è stato descritto e pubblicato un caso di tipica sindrome muscarinica provocato da Mycena rosea. Genere Inocybe: Inocybe rimosa = Inocybe fastigiata. 24

25 Inocybe geophylla. Inocybe lacera. 25

26 Inocybe maculata. Genere Clitocybe: Clitocybe dealbata 26

27 Poichè molto simile al neurotrasmettitore fisiologico acetilcolina, la muscarina reagisce specificamente con gli stessi recettori stimolati dall'acetilcolina del parasimpatico presenti negli organi vegetativi (apparato digestivo, respiratorio, cardiovascolare ed oculare). Non agisce invece assolutamente con i recettori colinergici dei muscoli striati. Non essendo inattivata dalla acetilcolinesterasi, stimola a lungo la terminazione parasimpatica, e può essere bloccata solo dall'atropina che agisce con un meccanismo di antagonismo specifico. In altri termini, poiché la muscarina possiede una struttura chimica molto simile a quella dell'acetilcolina, la sua presenza nell'organismo imita gli effetti di quest'ultima (parasimpaticomimetica), con la differenza di una maggiore permanenza, in quanto non degradata dal suo specifico inibitore fisiologico:la acetilcolinesterasi. La muscarina sostanzialmente inganna il recettore dell'acetilcolina, comportandosi cioè da falso trasmettitore e provocando quindi un eccesso di reazioni colinergiche (sudorazione ed ipersecrezione). Il quadro clinico è caratterizzato da un periodo di latenza breve, da minuti dall'ingestione sino a 2 ore, ed a rapida insorgenza tanto che i soggetti iniziano spesso ad avere i primi disturbi quando sono ancora a tavola. Viene spesso riferito come uno dei primi disturbi la difficoltà di visione determinata da una paralisi dell'accomodazione e riduzione della pupilla (miosi). Rapidamente compare una sudorazione abbondante e generalizzata accompagnata da aumento della salivazione, abbondanti secrezioni nasali e lacrimazione. Anche i sintomi a carico dell'apparato gastro-enterico sono precoci con nausea e vomito accompagnati successivamente da diarrea. Vi è una riduzione della pressione arteriosa per vasodilatazione periferica e riduzione del battito cardiaco (bradicardia con blocchi atrioventricolari). Spesso i soggetti lamentano ansietà, vertigini, tremori ed è riferita una sensazione come di morte imminente. Normalmente si assiste ad una risoluzione spontanea dei sintomi in ore. Rari, ma possibili, i decessi per collasso cardiocircolatorio o paralisi respiratoria. La muscarina è mal assorbita a livello digestivo e non passa la barriera ematoencefalica per cui non ha alcuna azione neurologica centrale e non vi sono sintomi a carico del sistema nervoso centrale. In questo caso la terapia è specifica (unico caso conosciuto nella terapia delle intossicazioni da funghi in cui è possibile usare un antidoto specifico ) : Atropina solfato (da 0,5 a 1 mg. i.v., da ripetere ogni 15 minuti in funzione del quadro clinico). Le intossicazioni con possibile complicanza cardiovascolare giustificano una sorveglianza in sala di rianimazione. La sintomatologia si risolve generalmente e spontaneamente in poche ore. Il compenso delle perdite idroelettrolitiche può essere necessario in taluni casi. Sindrome panterinica (o micoatropinica o neurotossica anticolinergica) Le tossine responsabili identificate sono dei derivati ad azione psicogena a breve latenza costituiti principalmente da isossazoli quali l acido ibotenico e diidroibotenico, il muscimolo ed il muscazone (quest'ultimo poco attivo e praticamente non tossico); sono state isolate anche altre sostanze per lo più ad azione simil-atropinica. Tra tute queste, l acido ibotenico ed il suo metabolita muscimolo, sono quasi per intero le tossine responsabili della tossicità di questi funghi, essendo sostanze molto attive a livello del sistema nervoso centrale. La DL/50 (Dose Letale Media) è di 90mg. per l'acido ibotenico e di 5-10mg per il muscimolo. Tale dose è contenuta in circa 100gr. di fungo fresco. Gli esatti meccanismi di azione di tali sostanze non sono ancora noti, ma è stata messa in evidenza una notevole somiglianza strutturale tra l ac. ibotenico e l'acido glutammico e tra il muscimolo e l'acido gamma-amino butirrico (GABA), cioè con alcuni neurotrasmettitori fisiologicamente presenti a livello del sistema nervoso centrale. E' verosimile quindi che il muscimolo agisca a livello centrale imitando i normali neurotrasmettitori che agiscono a livello dei recettori GABA. La sindrome panterinica è caratterizzata da disturbi a carico del sistema nervoso centrale con manifestazioni fisiche e psichiche. I funghi responsabili identificati sono Amanita pantherina e A. muscaria (comprese tutte le loro forme e varietà) e probabilmente anche A. gemmata (e A. cothurnata e A. cokeri in Nordamerica). 27

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